Putin e Biden mostrano profili da maschi Alfa mentre l’Europa va a rimorchio degli Stati Uniti, più passiva che proponente per la risoluzione della crisi ucraina. Al centro del problema (irrisolto) la Nato, un’organizzazione che aveva un senso finché è stato in vita il Patto di Varsavia ma che ora, dopo il capolinea storico dell’abbattimento del muro di Berlino del 1989, è un’autentica palla al piede per la geopolitica internazionale, un fattore di squilibrio e di destabilizzazione.
È evidente che la Russia non può sopportare, storicamente, logisticamente, socialmente e culturalmente, un’ipotesi di apparentamento dell’Ucraina alla Nato. Questa istituzione è strumento di guerra fredda, lontana dall’evoluzione degli equilibri della politica mondiale. Però è rimasta come un retaggio post della Seconda guerra mondiale, legata al carro della spesso bizzarra e ondivaga politica americana. L’Unione Europea, anche militarmente, è un fragile fuscello rispetto alla struttura di questa creatura ormai troppo condizionante che lega, ma a senso unico, il continente americano a quello nostrano, vecchio e dipendente.
Proprio la politica guerrafondaia della Nato, solidamente e solidarmente legata alla filosofia dell’interventismo, delle armi e di un larvato imperialismo, è il substrato di disturbo dell’attuale quadro politico. Non è un caso che tutti i richiami e i riferimenti della politica italiana nelle recenti scelte (presidente del Consiglio, presidente della Repubblica) si rifacciano al profilo di un politico filo-atlantista.
Ma come, ma perché? Ci appoggiamo anche all’opinione di uno storico-sociologo che certo non ha o connotati del pericoloso estremista. Il professor Ernesto Galli Della Loggia, entrando nel dibattito sulla validità di questa organizzazione, ebbe a dire: «La Nato va sciolta in quanto organizzazione obsoleta e inadeguata al presente». Eppure è questa che determina le grottesche quote parti in scala, per un possibile quanto presunto intervento militare in Ucraina.
Non essendo mai stato definito un contingente organico di forze armate europee, ci si affida alla politica dei bilancini per determinare la composizione dell’impegno militare dei singoli Paesi. Per i precedenti basti riferirsi alla crisi jugoslave con l’Italia che viola palesemente la Costituzione e consente alle proprie basi Nato sul territorio di portare morte e distruzione sul suolo di una nazione teoricamente amica. Un vulnus nel curriculum di D’Alema, presunto leader di sinistra.
Forzature anche rispetto allo stesso dettato Onu. Un precedente illuminante che dovrebbe aiutarci a farci leggere meglio la storia attuale e le sue possibili svolte. Nonostante che si allontani sempre più dalla deprimente aura della Seconda guerra mondiale (ai giorni nostri sono passati 77 anni dalla fine dell’ostilità) la Nato ha continuato a cercare di espandere la propria sfera di attività, creando nuove criticità come la possibile contestata adesione della Bosnia Erzegovina.
E i presidenti degli Stati Uniti, in una linea di continuità che prescinde dalla leadership democratica o repubblica (c’è poi differenza tra “America first” e “America is back”?) continuano a reclamare sempre maggiore impegno per le spese militari ai Paesi membri, perpetuando, anche come immagine iconica all’esterno, un’aspettativa di conflitto.
L’Italia ha versato alla Nato 165 milioni nell’ultimo anno di rendicontazione, con un trend in un aumento rispetto ai precedenti 150 milioni. In Italia nonostante la pandemia, le crescenti diseguaglianze e la povertà crescente, le spese militari hanno risucchiato investimenti per 25 miliardi complessivi. Un vergognoso e inattuale spreco di risorse.