Non siamo facili profeti ma profeti banali se affermiamo con buona dose di certezza che il primo partito nelle prossime elezioni del 25 settembre sarà quello degli astenuti. Probabilmente a questa folta legione (un 40-45% per cento che schiaccia la maggioranza relativa attribuita nei sondaggi alle Meloni) sarà infoltita dal solo partito degli indecisi, più facilmente indotti a disertare le urne che a turarsi il naso e a votare lo schieramento giudicato meno nocivo. L’astensionismo è una pericolosa deriva della democrazia contro cui non funziona un antidoto potenzialmente convincente: «Se nessuno voterà in futuro il nostro destino sarà deciso dall’unico votante».
Non è demagogia affermare che è la cattiva politica che ha messo all’angolo l’entusiasmo e la voglia di partecipare. Conta il giudizio negativo sui partiti (tutti) con il loro carico di opportunismo, con la politica trasformata in un bazar elettorale dove dominano il marketing e false promesse, la demagogia del voto utile (quando mai un voto è stato inutile?). I tempi raccorciati della campagna elettorale mostrano penosamente e impudicamente questa precarietà e questo senso del limite. Con accordi ondivaghi di cartelli, con alleanza tradite all’ultimo momento, con la richiesta di aderire a un’agenda Draghi senza Draghi. L’orizzonte politico è scolorito con il comportamento dei governi precedenti che fa confondere destra con sinistra, andamento ribadito dall’ammucchiata informe che ha sostenuto Draghi e che ha provocato un grande vantaggio oppositivo alle Meloni. Poi a questo trend astensionista contribuisce un grande vulnus anti-costituzionale ovvero l’attuale legge elettorale. I partiti hanno avuto tutto il tempo per modificarla e, colpevolmente, non l’hanno fatto. Un partito che è stato protagonista di quella involuzione oggi lamenta la sua applicazione. I votanti potenziali se ne accorgono e rimangono a casa. Mancano parole chiare sui tempi d’attualità: come gestire il Covid in auto, come regolarsi con il conflitto in Ucraina considerando il caro bollette e l’insopportabile pressione sulle famiglie italiane.
L’Italia è il Paese di una stucchevole alternanza dove il partito all’opposizione puntualmente guadagna consensi tanto forte si rivela lo scontento per il partito di Governo. Difatti c’è chi fa l’opposizione per mestiere. Quanto mai attuale la battuta del Cancelliere tedesco che, sbarcato a Fiumicino, chiese agli attachés nostrani: «Quale Governo c’è oggi in Italia?». Se ne sono succeduti quasi cinquanta dal varo della Repubblica ai giorni nostri ma l’Italia continua a essere in perenne emergenza. E fateci caso nei programmi elettorali dei partiti attuali, dove il “copia e incolla” è frequente, mancano spiccati e concreti riferimenti al cancro della nostra società attuale: mafia, corruzione, evasione fiscale.
E sapete perché, spia di un malessere interno come suggerì un ministro subito censurato? Perché con queste tare strutturali abbiamo imparato a convivere. Senza più avere la speranza di immaginare di poter cambiare questo stato di cose. Del resto da un establishment che ha rifiutato Gratteri come ministro della Giustizia cosa aspettarsi? Scriviamo che l’astensionismo riflette un’apatia nazionale diffusa che è un misto di scetticismo, cinismo e voglia di non partecipare ad alcunché, fosse anche una semplice assemblea di condominio.
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