Rissa Berlusconi-Meloni. È stata una sorpresa. In molti prevedevano un furente scontro con il centro-sinistra e i cinquestelle sconfitti alle elezioni, invece prevale la guerra all’interno della coalizione vittoriosa di destra-centro.
Il primo a colpire è Silvio Berlusconi. Su un foglietto di appunti scrive parole di fuoco contro Giorgia Meloni: ha un comportamento «supponente», «prepotente», «arrogante», «offensivo». Perciò con lei «non si può andare d’accordo». Il foglietto di appunti è intercettato dai giornalisti sul suo scranno di senatore. Il presidente di Forza Italia motiva ai giornalisti la sua collera: non accetta «veti» sulla composizione del governo da costruire. In particolare non accetta «veti» sulla proposta di un ministero per Licia Ronzulli, una sua fedelissima.
Scoppia il finimondo. Ignazio La Russa, appena eletto presidente del Senato su iniziativa della Meloni senza i voti dei senatori di Forza Italia, chiede a Berlusconi di smentire l’attacco sferrato su quel foglietto di appunti. La smentita non arriva, così la presidente di Fratelli d’Italia va giù durissima dichiarando ai giornalisti: «Non sono ricattabile».
La rissa Berlusconi-Meloni è totale. Lo scontro è tra il vecchio capo dell’alleanza e la nuova. La sfida è a chi comanda. Il tam tam di Montecitorio indica il piano della Meloni: se riceverà l’incarico di presidente del Consiglio formerà un “governo di alto profilo”, di persone capaci, composto anche di tecnici. Il piano sarebbe ardito: ci saranno le elezioni politiche anticipate se Berlusconi negherà la fiducia al suo esecutivo in Parlamento.
Tuttavia la rissa Berlusconi-Meloni è rapidamente ricomposta, almeno in parte. Lunedì 17 ottobre, un numero certo di non buon auspicio, un faccia a faccia a due determina il disgelo. Cancella le critiche del foglietto di appunti: «Riportavo frasi ascoltate dai miei senatori». Trovano una faticosa intesa sul futuro governo di destra-centro. Una nota stampa congiunta annuncia: «Fratelli d’Italia e Forza Italia si presenteranno uniti» assieme agli alleati alle consultazioni dal presidente della Repubblica Mattarella.
Ma l’accordo in extremis ufficializza la grande novità: è la Meloni la nuova leader della coalizione. Non a caso l’incontro non si è svolto in un terreno neutro come la Camera dei deputati, ma nella direzione nazionale di Fratelli d’Italia in via della Scrofa a Roma, la stessa che ospitò la sede del Msi, il partito erede del fascismo.
Il futuro governo Meloni sorgerà, ma nascerà zoppo, destabilizzato per le tante ferite subite nel caotico parto. Le polemiche sono continue, alluvionali. Berlusconi rilancia Maria Elisabetta Casellati alla Giustizia mentre la Meloni punta sull’ex magistrato Carlo Nordio. Parlando il 18 ottobre ai parlamentari di Forza Italia alla Camera, secondo una registrazione divulgata dall’agenzia stampa LaPresse, va a ruota libera: alla presidente del Consiglio in pectore la richiesta è di tre ministeri in più ma «mi ha riso in faccia». Fa scalpore lo scivolamento verso le posizioni di Putin: «Ho riallacciato un po’ i rapporti con il presidente Putin, un po’ tanto», è «uomo di pace». Praticamente addossa le responsabilità della guerra sulle spalle di Zelensky.
Giorgia Meloni ribatte a brutto muso la sua netta fedeltà alla Nato e il pieno sostegno all’Ucraina contro l’invasione russa. Avverte il Cavaliere: chi non condivide «questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo». Aggiunge: «L’Italia con noi al governo non sarà mai l’anello debole dell’Occidente». L’ex presidente del Consiglio getta acqua sul fuoco: è un atlantista convinto, è vittima di un «dossieraggio indegno».
L’alleanza di destra-centro è destabilizzata. L’ex presidente del Consiglio è stato sconfitto alle elezioni e la coalizione ha vinto grazie allo strepitoso successo della Meloni. La presidente di Fratelli d’Italia, un partito post fascista, esalta la democrazia e predica la «responsabilità». Tuttavia deve fare i conti con le paure negli Stati Uniti, nell’Europa sulla tenuta delle sue dichiarazioni di lealtà alla Nato e alla Ue. Deve fare i conti anche con le riserve all’estero e in Italia sui conati sovranisti emersi a tratti.
Nella traballante coalizione di destra-centro scatta la parola d’ordine di ricucire i contrasti. Difficilmente gli elettori capirebbero l’affondamento di un nuovo governo a meno di un mese dal responso delle urne. Gli italiani sono alle prese con mille paure ed angosce: la guerra in Ucraina che potrebbe degenerare anche in un conflitto nucleare, l’inflazione galoppante, le bollette salate di gas e luce, il rischio di perdere il lavoro, l’aumento dei contagi Covid.
In una situazione pesantissima i cittadini si aspettano non una rissa per i ministeri, ma una grande responsabilità e una efficace soluzione dei gravissimi problemi. Matteo Salvini non usa più i soliti toni incendiari. Pesantemente sconfitto alle elezioni ma premiato in parlamentari leghisti grazie al successo di Fratelli d’Italia, è cauto. Davanti ai no della Meloni non chiede più per sé l’importante poltrona del Viminale, ma si orienterebbe o per fare il ministro delle Infrastrutture o dell’Agricoltura.
Il centro-sinistra e i cinquestelle attaccano dalle trincee delle opposizioni. Enrico Letta parla di «sfregio» per l’elezione di La Russa alla guida del Senato e di Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera. Il segretario del Pd accusa: questa è una maggioranza orientata «sempre più verso il sovranismo e la destra». Addio a ogni speranza di pacificazione nazionale.