Quando a poco più di vent’anni scrivevo di Europa avevo lo stesso ideale dei fondatori, quello di un’Europa federale, libera (che non necessariamente significa «liberale»), democratica, aperta a quanto ogni Paese con la sua specifica tradizione potesse offrire, promotrice di crescita economica, di giustizia sociale e di pace, in cooperazione con il mondo più svantaggiato.
La speranza dell’Europa
Alcide De Gasperi nel suo Discorso agli europeisti, tenuto a Roma il 4 novembre 1950, così descriveva l’aspirazione europea: «Ciò che fu il sogno di grandi statisti e pensatori nel passato è divenuto in breve scorcio di anni una realtà, sia pure in embrione, sia pure in una forma assai imperfetta, ma sempre una realtà. Ed è qui a poche centinaia di metri da noi, dove in seno agli organi del Consiglio d’Europa gli esponenti più autorevoli delle nazioni europee proseguono in forma ufficiale e formale i loro lavori per attuare questa esigenza così profondamente sentita in ciascuno dei loro paesi. Noi qui invece rappresentiamo l’opinione pubblica, rappresentiamo la volontà dei popoli, che agisce e continua, non mai soddisfatta, ad agire sui governi e sui parlamenti e impone loro la discussione dei problemi e l’attuazione, nelle forme possibili, dei nostri progetti.»
Il percorso dell’Europa, lungo e tortuoso, ha deluso in realtà molte aspettative, poiché al posto di un’Europa delle Nazioni e in luogo di un’evoluzione democratica si sono affermati equilibri sempre meno rappresentativi e sempre più cristallizzati sull’autorità di un’élite.
Le istituzioni sono infatti tuttora fondate, come agli inizi, su un potere politico non espresso dai popoli e dal Parlamento, come in ogni costruzione democratica, ma da un governo, cioè la Commissione Europea, che guida anche la legislazione europea e la programmazione economica dell’Unione in forma di indirizzo a un Parlamento che ne recepisce e fa proprie le raccomandazioni e le decisioni.
Sul piano politico, la scarsa rappresentatività del Parlamento Europeo ha allontanato l’attrazione del passaggio elettorale e della partecipazione politica e la stessa costruzione di una difesa europea si è ripiegata su equilibri euro-atlantici i quali, se avevano un senso nella contrapposizione all’URSS, lo hanno perso dopo l’89, aumentando al contrario la percezione di insicurezza e di instabilità.
Il progetto di costituzione europea – dobbiamo forse ricordare che nessuno Stato, unitario o federale che sia, si regge senza una carta costituzionale? – è progressivamente scomparso dall’orizzonte ideale, per confluire nel più tecnico Trattato di Lisbona, lasciando quindi l’Europa ancora più fragile di fronte alle spinte centrifughe che oggi ne mettono in discussione la stessa sopravvivenza.
Un panorama in chiaroscuro
Nel recentissimo scandalo di corruzione, il cosiddetto «Qatargate», abbiamo avuto l’evidenza di una grave crisi istituzionale, che potrebbe riguardare una vasta platea di europarlamentari.
La presidente Roberta Metsola ha parlato di un’Europa sotto attacco, alludendo ai Paesi corruttori, ma si tratta di una rappresentazione parziale della realtà, mentre la riflessione va allargata al potere che gli interessi lobbistici hanno conquistato nei meccanismi decisionali europei, dal momento che Bruxelles ha addirittura superato gli Stati Uniti in questo primato. Il lobbismo nella UE è fortemente presente e vicino alle istituzioni europee e certo non per iniziativa di Paesi terzi.
Considerazioni di opportunità potrebbero essere fatte anche sulla Commissione Europea e su come questa istituzione sta gestendo alcuni capitoli di spesa del Next Generation EU, come ad esempio l’approvvigionamento vaccinale: dopo alcuni rilievi della Corte dei conti UE (settembre 2022) sulla spesa per i vaccini anti-Covid 19 e sulla procedura per i contratti, il più rilevante dei quali negoziato dalla stessa presidente Von der Leyen, nell’ottobre 2022 Heiko von der Leyen, suo consorte nonché direttore medico della società biotech statunitense Orgenesis, specializzata in terapie cellulari e geniche e attiva nella ricerca sul Covid 19, è stato costretto a dimettersi dalla partecipazione a un progetto PNRR (quindi finanziato dall’UE) dell’Università di Padova con il concorso di Pfizer, AstraZeneca, Sanofi, per le polemiche nate in seguito a questa collaborazione.
Etica e politica
Come abbiamo già scritto in passato, i poteri economico-finanziari si servono sempre più delle istituzioni internazionali, in un gioco di vasi comunicanti, anche infiltrando i board direttivi, per farne la cassa di risonanza dei propri interessi, facendosi scudo ideologico con l’adesione a principi umanitari e a diritti che, attraverso la ricerca del consenso, possano assicurare una larga condivisione dell’opinione pubblica.
Ancora De Gasperi, in un famoso discorso tenuto il 20 novembre 1948 a Bruxelles sulle basi morali della democrazia, affermava: «Ora chi non vede che il regime democratico, fondato sul popolo, dipende più che ogni altro, non solo dalla coscienza morale dei cittadini, ma anche dai costumi che regolano la loro comunità? Al popolo sovrano non bastano le virtù della obbedienza e della disciplina; esso deve anche avere il senso della responsabilità di governo, il sentimento della solidarietà e della comunità, la forza morale di autolimitare le proprie libertà in confronto dei diritti altrui e l’energia di non abusare delle istituzioni democratiche per interessi di parte o di classe».
Riscoprirlo, per partiti che spesso sembrano avere perso le proprie radici fondative, sarebbe un nuovo inizio per un’Europa capace di guardare con fiducia al proprio avvenire.
Immagine di apertura: Iceberg, sullo sfondo i rilievi antartici, foto di Shirley Matlock, Pixabay