Dall’inizio di quest’anno sono stato invitato ad almeno 5 presentazioni di libri scritti da persone che conosco. Qualche giorno fa ho partecipato all’ultima, di un vecchio e carissimo amico.
Ho scritto alcuni libri quando facevo parte del mondo accademico: uno degli ultimi contava più di 400 pagine e 200 note. Invece più recentemente il saggio che riguardava le Banche e i Diritti umani, pubblicato nel 2013, sta ricevendo commenti negli ultimi due anni. Significa che ci sono voluti quasi 10 anni perché venisse letto. Quindi un saggio, che potrebbe essere importante –anche se non è il mio caso- viene conosciuto in molti anni e per di più dagli addetti ai lavori che dovrebbero essere specificamente interessati a quel tema.
Quando ho scritto la mia tesi di laurea, nel lontano 1973, ho frequentato 4 biblioteche: amo ancora le biblioteche, ma ci vogliono tempi biblici per consultare i loro libri.
Infine un autore ha bisogno a volte di molto tempo per scrivere un libro e quando sta per pubblicarlo deve rivedere quello che ha scritto 1-2 anni prima. La scienza e la cultura andavano lente anche perché il libro richiedeva tempo e fatica. Oggi assistiamo a una paurosa accelerazione del tempo, soprattutto per quanto riguarda l’informazione. I computer e gli smartphone hanno condizionato drammaticamente contenuti e forme, sempre perché occorre dire tutto con qualche parola e subito. Persino le parole saltano: il per si scrive x. Ci si sarebbe aspettato che i libri pagassero subito il prezzo più alto di questa irreversibile rivoluzione. Invece assistiamo a una loro moltiplicazione senza precedenti. Oggi chiunque scrive un libro, perché stamparlo non costa niente e non occorre più che esso sia letto e approvato da un grande editore. Colpiscono quelli scritti da giornalisti, che si servono della loro notorietà in televisione e spesso trattano di argomenti di attualità –di genere spesso scandalistico- oppure di temi di politica internazionale, sui quali si può scrivere di tutto perché per la gran parte si tratta di ipotesi senza prove, e in molti casi nessuno può controllare l’attendibilità dell’autore. Di tutti questi libri non meraviglia che sia molto difficile sapere quante siano le copie vendute, non ad amici nelle presentazioni, ma nelle librerie o su Amazon. Alcuni di questi giornalisti scrivono un libro al mese e questo la dice lunga sulla loro serietà professionale.
Un mio amico intellettuale francese parla di persone che scrivono “n’importe quoi” e aggrava la dose affermando che essi “chient des livres à droite et à gouche”, non traduco il termine perché è un po’ volgare e forse troppo critico. Sta di fatto che i libri sono stati per secoli l’unico modo di trasferire la conoscenza attraverso le analisi scientifiche, ma anche le narrazioni dei romanzi. La conoscenza è potere e il potere è venuto dai libri fino alla nascita di internet.
Nel medioevo, e per lunghi periodi della storia, l’informazione, la conoscenza, si trovava in rarissimi libri, gelosamente custoditi nei monasteri, nelle università e nelle biblioteche dei potenti. Per avere conoscenza dello scibile umano il principe di Condé, aveva fatto costruire una gigantesca biblioteca nel suo castello di Chantilly. Essa raccoglieva 60.000 testi, tra manoscritti e libri stampati. Diderot e D’Alembert, alla metà del ‘700, ci misero venti anni per raccogliere nell’Encyclopedie tutte le conoscenze di allora, la filosofia, la politica, la matematica e le arti. Io non sono vecchissimo, ma la mia educazione viene dai libri, ed a essi devo non solo la mia formazione professionale, ma anche quella di uomo. I grandi letterati e intellettuali della storia possedevano la conoscenza che, non solo era riconosciuta dalla società nella quale vivevano, ma dava loro un grande vantaggio nell’operare nella politica, nella scienza e nelle arti.
Il Principe di Condè era anche il Gran Connestabile di Francia, il Comandante in capo dell’esercito francese che, come dice il Manzoni, era un uomo molti sicuro di se, visto che “dormì profondamente prima della battaglia di Rocroi”, che puntualmente vinse. Tutto questo oggi non esiste più perché abbiamo sempre meno tempo di leggere lunghi libri, e sempre meno persone hanno la capacità di capirli davvero, soprattutto quando anche i romanzi sono pieni di riferimenti alla grande letteratura, alla filosofia, alla psicologia e alle altre scienze. (Il Prof. Riccardo Monaco, mio grande maestro, mi ammoniva sempre a distinguere citazioni e note perché esse dovevano essere strumentali al testo altrimenti diventavano una stupida autocelebrazione).
Ci lamentiamo che i giovani non leggono: ne conosco tanti di giovani, non è vero che non leggono, non leggono i libri degli ultrasessantenni, dei letterati e degli esperti celebrati dalla stampa e dalla tv. Si informano attraverso messaggi brevi, vogliono le notizie, non i commenti e le considerazioni di scrittori ed intellettuali ai quali non credono più, o dei quali non hanno fiducia.
Il contenuto e la forma, cioè il mezzo, sono sempre stati molto vicini, ma è innegabile che oggi il metodo sia la comunicazione su internet e sui social media. Ne nasce una grande confusione, è vero, ma internet ha creato irreversibilmente una nuova forma per comunicare. Il podcast e i brevi filmati di Youtube e Spotify sono la comunicazione e mi fanno ridere tutti quei giornali che oggi pubblicano su internet trasferendo in video ciò che prima scrivevano sulla carta.
E cosa succederà con l’intelligenza artificiale? Un noto giornale italiano ha sfidato i lettori proponendo loro un premio in denaro per coloro che riuscissero ad identificare quale degli articoli che pubblicano sia stato scritto dall’intelligenza artificiale, e finora nessuno ha vinto quel premio. Che pochissimi leggano cosa scrivano gli ultrasessantenni dei giornaloni non mi preoccupa, perché i giornaloni attraversano una rapidissima agonia. Può preoccupare invece, che soprattutto i nostri giovani non sappiano a chi credere nel bombardamento di informazioni che subiscono. E preoccupa ancora di più che l’intelligenza artificiale possa sostituire la loro capacità di analisi e riflessione critica. Qualche frase in una pagina potrebbero diventare una tesi di laurea, senza che i laureandi siano in grado neppure di capire cosa il computer abbia scritto per loro.
Non so cosa succederà nel rapidissimo futuro davanti a noi, ma una cosa è certa la morte dei libri non sarà rapidissima ma forse irreversibile.
Se alle donne e agli uomini della generazione dei libri cui appartengo piacerà ancora leggere può essere confortante. Io continuerò ad essere un instancabile lettore, anche se per fortuna la tecnologia viene in soccorso della mia modesta capacità visiva. Però è sicuro che io e molti di voi rimarremo appassionati ammiratori del Principe di Condè.
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