Da ben oltre un decennio viviamo un momento di disordine, in cui l’uomo ha perso il proprio orientamento. I cambiamenti intercorsi sono stati notevoli e troppo veloci. Siamo passati dal fordismo, periodo in cui ciascuno aveva una stabilità fondata su un lavoro, una famiglia e una macchina, al toyotismo, fondato su un’economia della celerità ed innovazione continuata. Tutto scorre e velocemente, riesce molto difficile mantenere il passo. Allo smarrimento umano, contribuisce notevolmente anche il precariato lavorativo e la notevole disoccupazione, che non consentono prospettive o progetti a lungo termine, ma un vivere alla giornata, impedendo finanche di sognare. Con riferimento al sogno è bene rammentare, che sognare ad occhi aperti costituisce una fuga dal presente, oltre a consentire di programmare il proprio futuro. Costituisce, inoltre, un segno di elevata intelligenza e creatività.
In assenza di sogno anche la creatività viene meno e ciò anche in considerazione della carenza di tranquillità, stabilità e soprattutto per la carenza di lettura. Leggere, documentarsi, costituisce uno stimolo a verificare ciò che viene detto, oltre ad acquisire spunti utili per qualsivoglia cosa, oltre a costituire elemento utile per la salute, per la socialità e per la sfera educativa. Dai libri stampati a caratteri mobili, siamo passati alla versione contemporanea come ebook e audiolibri, eliminando finanche la possibilità di sottolineare, annotare e magari riflettere.
Un’economia basata su innovazione, tecnologia dove il programma usato si configura vetusto domani. Sembrava, che questa forma di economia, basata su innovazione e tecnologie fluenti, potesse fare il miracolo di superare le differenze e aiutare tutti a vivere meglio, ma non si è rivelata tale.
Sin dal lontano 1955, Piero Calamandrei, Padre costituente e noto giurista, nel corso delle lezioni ai suoi studenti affermava, che: “Fino a che non c’è la possibilità per ogni uomo di lavorare e studiare e trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica”. I redattori costituenti hanno voluto fondare la Repubblica italiana sul lavoro, quale elemento fondamentale per la dignità umana. Non a caso nel testo della Costituzione i termini “lavoro” e “lavoratori” sono quelli più ricorrenti. Il lavoro è inteso non solo come fonte di reddito, ma come fattore indispensabile per la realizzazione della persona e per la costruzione di unità e coesione sociale, all’interno del proprio paese. Nel testo costituzionale, infatti, il termine lavoro è legato a doppio filo al concetto di dignità dell’uomo. L’articolo 36 della Costituzione, afferma, a chiare lettere, che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Oggi, a oltre settanta anni dalla promulgazione della Costituzione, in un periodo caratterizzato dalla mancanza e dalla precarizzazione del lavoro le parole di Calamandrei, costituiscono un elemento utile, affinché si possano porre le basi per consentire a ogni uomo, sia nella sua individualità, nonchè quale componente di un nucleo familiare e della collettività, di condurre una esistenza “libera e dignitosa”, come afferma il testo costituzionale.
Da ciò ne consegue la necessità d’impiego stabile e duraturo, quale elemento di socialità e dignità umana, e grava sul nostro Stato l’onere di fornire lavoro ai propri cittadini, come previsto, peraltro, dalla nostra Costituzione. Ciò impedirebbe anche la fuga dei cervelli, fenomeno ampiamente dilagante.
Foto di apertura di Ronald Carreño da Pixabay