La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.

Il principio espresso nella nostra Costituzione è chiarissimo ma, in questa sede, non voglio approfondire l’analisi di questo dettato ma capire se nei fatti si è proceduto in tal senso o, ancora una volta, la Costituzione è stata tradita.

Il primo e noto problema che segnala un tradimento costituzionale è l’annoso problema del sovraffollamento.

Elaborando i dati vediamo che la struttura maggiormente sovraffollata è il carcere di Grosseto, in Toscana, che ha un tasso di occupazione del 200 per cento. Questo numero però va preso con cautela considerando che nell’edificio risiedono comunque appena 30 persone, a fronte di una capienza di 15 posti.

La seconda struttura maggiormente sovraffollata si trova invece in provincia di Brescia, dove per 189 posti sono detenute 361 persone. Seguono il carcere di Brindisi (205 detenuti per 114 posti), Lodi (77 detenuti per 45 posti) e Lucca (105 detenuti per 62 posti). Il carcere di Santa Maria Capua Vetere in provincia di Caserta (Campania) – tristemente tornato alle cronache dopo il video dei pestaggi sui detenuti da parte degli agenti penitenziari – conta 945 detenuti a fronte di una capienza massima di 809, e ha quindi un tasso di affollamento del 117 per cento.

Nonostante le tante iniziative volte a ridurre il sovraffollamento la situazione nei fatti non cambia di molto.

Il nostro Paese ha tempo fino al 28 maggio del 2014 per risolvere il sovraffollamento delle carceri ed evitare pesanti sanzioni. Se non sarà risolto, la Corte europea dei diritti umani potrebbe condannare l’Italia al pagamento di 100 mila euro di multa per ogni detenuto che abbia presentato ricorso a Strasburgo, come fece pochi mesi fa con una sentenza che la condannò a risarcire 7 carcerati con 700 mila euro.

Già in passato l’Italia ha dovuto pagare pesanti sanzioni per non aver risolto l’eccessivo affollamento carcerario ed è presumibile che accadrà di nuovo.

Un altro tema relativo allo spreco di risorse è quello della costruzione di nuovi istituti penitenziari.

Carcere minorile di Nisida (NA): Foto di Enzo Abramo da Pixabay

Dal testo di una interrogazione parlamentare, consultabile nel sito del PSD, e da numerose altre attendibili fonti, leggo che, nonostante il “rigore economico” imposto dal governo già con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, si assiste sempre più spesso all’invocazione da parte del Ministro della costruzione di nuovi istituti penitenziari, eppure, sono molteplici (circa 40) in Italia gli istituti penitenziari già costruiti, spesso ultimati, a volte anche arredati e vigilati, che però sono inutilizzati e versano in uno stato d’abbandono totale: l’istituto carcerario di Morcone (Benevento), è stato costruito, abbandonato, ristrutturato, arredato e nuovamente abbandonato dopo un periodo di costante vigilanza armata ad opera di personale preposto; l’istituto carcerario di Arghillà (RC) manca solo dell’allacciamento idrico, ma è per il resto ultimato e dotato di accorgimenti tecnici d’avanguardia; in Sardegna sono state frettolosamente dismesse ben otto case mandamentali (Ales, Bono, Carbonia, Ghilarza, Sanluri, Santavi, Terralba e soprattutto, per l’eccezionale spreco, Busachi, che, dopo essere costata 5 miliardi di lire, non è stata mai inaugurata); in alcune regioni, causa della mancata programmazione in funzione dell’estensione, si è costretti all’andirivieni da e per istituti posti al limite provinciale come per Lecce Nuovo Complesso, sorto nel nord di una provincia che si estende per oltre 70 chilometri, quotidianamente percorsi da tutte le Forze dell’ordine provinciali che, ad esempio, potrebbero utilizzare (con semplici adeguamenti tecnici) la casa mandamentale di Maglie solo parzialmente utilizzata per ospitare detenuti semiliberi; ancora maggiore è lo spreco nella stessa provincia, nel comune di Galatina, dove l’istituto penitenziario è del tutto inutilizzato malgrado la posizione strategica; ad Udine, si registra la chiusura della sezione femminile del penitenziario a fronte di situazioni “sature” in altri istituti, ormai al collasso; a Gorizia risulta inagibile un intero piano dell’istituto carcerario e non sono stati programmati i necessari lavori, così come a Venezia e a Vicenza, dove la capacità ricettiva è ridotta a 50 unità; a Pinerolo (Torino), il carcere è chiuso da dieci anni ma è stata individuata l’area ove costruirne uno nuovo; a Revere (Mantova), dopo 17 anni dall’inizio dei lavori di costruzione, il carcere con capienza da 90 detenuti (costo stimato: 5 miliardi di lire) è ancora incompleto. Non solo, i lavori sono fermi dal 2000 e i locali, costati più di 2,5 milioni di euro, sono già stati saccheggiati; l’istituto carcerario di Codigoro (Ferrara) che, nel 2001, dopo lunghi lavori, sembrava pronto all’uso, è ad oggi ancora chiuso; a Pescia (Pistoia), il Ministero ha soppresso la casa mandamentale; a Pontremoli (Massa-Carrara), il locale istituto femminile, inaugurato nel 1993, con capienza pari a 30 detenute, è attualmente chiuso; ad Ancona Barcaglione, il penitenziario da 180 posti inaugurato nel 2005, nonostante le spese di mantenimento della struttura vuota ammontassero a mezzo milione di euro all’anno, gli ospiti non sono mai stati più di 20 e i dipendenti 50; in Abruzzo, nel penitenziario di San Valentino (Pescara), costruito da 15 anni, non ha alloggiato nessun detenuto.

Nella struttura vagano solo cani, pecore e mucche; in Campania, l’istituto di Gragnano (Napoli) è stato inaugurato e chiuso a causa di una semplice frana; lo stesso è accaduto a Frigento (Benevento); in Puglia, oltre a Minervino Murge (Bari), struttura mai entrata in funzione, c’è il caso di Casamassima (Bari), carcere mandamentale condannato all’oblio da un decreto del Dipartimento; a Monopoli (Bari), nell’ex carcere mai inaugurato, non ci sono detenuti ma sfrattati che hanno occupato abusivamente le celle abbandonate da 30 anni; ad Altamura (Bari), si aspetta ancora l’inaugurazione di una delle tre sezioni dell’istituto; non sono state mai aperte le strutture mandamentali di Volturara Appula (Foggia), 45 posti, incompiuto, e Castelnuovo della Daunia (Foggia), arredato da 15 anni; Accadia (Foggia), penitenziario consegnato nel 1993, ora del Comune, è inutilizzato; a Bovino, è presente una struttura da 120 posti, già pronta, chiusa da sempre come ad Orsara, nella stessa provincia di Foggia; l’istituto di Irsina (Matera), costato 3,5 miliardi di lire negli anni ’80, ha funzionato soltanto un anno ed oggi è un deposito del Comune; gli istituti di Mileto (Vibo Valentia) e di Squillace (Catanzaro) sono stati ristrutturati e poi chiusi. In quello di Cropani (Catanzaro), abita solo un custode comunale. Gli istituti di Arena (Vibo Valentia), Soriano Calabro (Vibo Valentia), Petilia Policastro (Crotone) e Cropalati (Cosenza) sono stati soppressi; a Gela (Caltanissetta) esiste un penitenziario enorme, nuovissimo e mai aperto; a Villalba (Caltanissetta), 20 anni fa è stato inaugurato un istituto per 140 detenuti, costato all’epoca 8 miliardi di lire, e che dal 1990 è stato chiuso e recentemente tramutato in centro polifunzionale; il carcere di Licata (Agrigento) è completato, ma non essendo stato collaudato è ad oggi inutilizzato; ad Agrigento, sei sole detenute occupano i 100 posti della sezione femminile; tale disastrosa situazione è stata denunciata più volte dall’Unione europea.

Un altro tema fondamentale per la vita carceraria è quello relativo a chi opera all’interno del sistema: operatori sanitari, psicologici, educatori, ecc.ecc. E qui si vive una situazione allarmante se non ci fossero i volontari che assolvono a funzioni che per legge sono demandate allo Stato e non si tiene conto della estrema delicatezza di queste funzioni.

Rimane un altro tema fondamentale e cioè quello della architettura carceraria.

Foto di Gordon Johnson da Pixabay

Il primo concetto è il progressivo allontanamento del carcere dalle città e la loro allocazione in estreme periferie.  A parte il disagio per familiari dei detenuti e delle guardie carcerarie è il sintomo di una cultura che tende a rifiutare la vista del carcere come qualcosa da dimenticare, da allontanare da sé. Proprio chi dovrebbe facilitare un rafforzamento con il tessuto sociale dei detenuti smentisce nei fatti questo sacrosanto principio limitandosi al rafforzamento di un triste isolamento. Potremmo dire molto altro ma credo sia sufficiente quanto detto per poter affermare che il sistema carcere è stato abbandonato e la nostra Costituzione tradita.

Voglio ricordare le parole di Ernesto Rossi “mentre scontavo la mia pena ho ripetuto ai compagni di cella che gli uomini politici i quali in passato avevano vissuto la galera portavano la grave responsabilità dell’ordinamento carcerario esistente, indegno di un popolo civile, perché tornati in libertà non avevano illuminata l’opinione pubblica e non avevano mai preso seriamente a cuore la sorte dei detenuti“.

E mi preme sottolineare che non si tratta solo di un problema umanitario o di civiltà ma i numeri ci dicono chiaramente che la recidiva di chi sconta la pena in carcere, in queste condizioni, è altissima mentre si abbassa notevolmente quando si applicano misure alternative. E’ il fallimento delle politiche penitenziarie.

Ricordo anche un intervento del senatore Eduardo De Filippo che raccontava la vicenda della nave dell’ammiraglio Caracciolo il quale ottenne la custodia di giovani detenuti minori che utilizzò nella costruzione della nave e poi li imbarcò per più di un anno. Tutti impararono un mestiere e una volta sbarcati a terra nessuno di loro commise più reati.

Ecco, l’insegnamento più grande che possiamo trarre da queste considerazioni è che la politica, tutta, porta una responsabilità enorme nell’aver prodotto l’attuale incivile e improduttiva situazione ma ci sarebbe molto da fare per un serio miglioramento ma esiste la volontà politica o anche qui l’indifferenza vince sulla ragione?

Dalle colonne di questo giornale può partire una campagna di sensibilizzazione e di singole proposte che “obblighino“  la politica a assumere su di sé una responsabilità divenuta ormai ineludibile .

Foto di apertura: jraffin da Pixabay