Il 7 ottobre a Roma si è svolto un evento sportivo, il triangolare “Le partite del cuore”: mai avrei immaginato che questa volta in campo avrei visto la fanfara dei mitici bersaglieri, pensare che ho svolto il servizio militare proprio nei bersaglieri, un sogno realizzato grazie all’Associazione Sbarre di zucchero.
Nei giorni precedenti, mentre programmavamo l’evento, più volte ho pensato perché proprio noi dovevamo essere la squadra, insieme alla rappresentanza dell’Università La Sapienza a dover inaugurare la loro prima partita. Tenevamo a battesimo la squadra dei Bersaglieri, che quest’anno farà il campionato Regionale. Non riuscivo a trovare una ragione logica, poi entrando in campo e vedendo quello che succedeva intorno all’evento prima e dopo ho capito il perché; loro noi e i ragazzi ci univa una sola ragione: di carcere bisogna parlarne con tutti affinché non ci sia “più una/uno di meno”. La mattinata è stata speciale sin dall’inizio, sono arrivato con largo anticipo perché volevo vedere la reazione delle persone, a volte il pregiudizio si può abbattere anche con lo sport, perché correre dietro ad un pallone non comporta essere pregiudicato o meno, la gioia di solcare il campo verde è un’emozione che solo chi gioca a calcio può comprendere. Vedere arrivare tutti quei ragazzi dell’Università, che tra loro si domandavano chi erano le persone detenute che avrebbero giocato contro di loro, mi sono avvicinato senza dir nulla ascoltavo, avevo la maglia di Sbarre di zucchero, poi qualcuno si è accorto di questo e ho visto iniziare a sgomitare, “lui è uno di loro”… con un sorriso mi sono avvicinato a loro e ho detto “sì, sono un ex detenuto, ed ho giocato a pallone fin da ragazzo ed oggi a 63 anni ancora la mia oretta di gioco la faccio tranquillamente”… si sono fatti una risata. Nel mentre vedevamo militari in mimetica che si avvicinavano con i loro strumenti, era la fanfara, tutti bisbigliavano, anche chi era al campo per le partite dei giovani calciatori, perché il campo che ci ha ospitato per la seconda volta “Elis” di Roma è un’eccellenza del settore.
Una volta pronti le tre squadre erano al centro del campo, con il nostro arbitro ufficiale l’ispettore Luigi Giannelli, non mi piace chiamarlo ex, perché lui per me è stato il modello di ispettore che avrei voluto incontrare sempre negli istituti di pena, umano, rispettoso delle regole, a volte ci si scontrava, ma il fatto che ogni volta che lo chiamo non solo si rende disponibile, ma mi da una mano a organizzare, dimostra che non c’è distanza tra detenuti e detenenti se ci si rispetta. Il momento emozionante è stato quando di corsa è entrata la fanfara dei bersaglieri, si è posizionata al centro del campo suonando l’inno nazionale: emozione pura, lacrime sugli spalti e in campo.
Noi ex detenuti eravamo lì schierati con la squadra dei bersaglieri, la squadra dell’Università La Sapienza, e la fanfara, credo che non si possa chiedere altro. Prima delle partite i ragazzi del “FreeStyle” hanno dato dimostrazione di cosa si può fare con un pallone.
Le tre partite sono terminate tutte a reti inviolate, ma il risultato più bello è stato che lo sport ha unito tre realtà completamente diverse tra loro, facendo cadere il pregiudizio e unendo in un unico scopo: “basta morti in carcere”.
La squadra dei Bersaglieri ha offerto un rinfresco a tutti i partecipanti e non solo, come dicevo all’inizio i bambini che avevano giocato nei campi adiacenti e i loro genitori, si sono avvicinati e la fanfara ha iniziato a suonare per loro. Voglio ringraziare tutti i partecipanti, il pubblico numeroso sugli spalti, Stefano Pioda sponsor delle nostre maglie e dei bersaglieri, tutto il direttivo del campo sportivo Elis, l’arbitro Luigi Giannelli, il Rettore dell’Università la Sapienza di Roma, la Squadra dei Bersaglieri di Marcellina, L’associazione nazionale dei Bersaglieri presente con i suoi vertici, i ragazzi del Freestyle, ma soprattutto vorrei ringraziare Sbarre di zucchero che continua nel suo prezioso percorso, “mai più una/uno di meno”.
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