Giacomo Matteotti, chi era costui? Come Carneade era sconosciuto a Don Abbondio, purtroppo temo che Matteotti non sia ben ricordato dagli italiani e dalle italiane, forse è addirittura ignoto. Fu una delle più eclatanti vittime del regime fascista, uno scandalo nazionale che sancì la fine della democrazia in Italia. Proprio quest’anno commemoriamo cento anni dall’efferato assassinio, penso che sia proprio opportuno parlare più diffusamente di questo nostro sfortunato ed eroico concittadino.
L’uomo e le traversie nel Paese
Nato nel 1885 a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, rimase prima orfano del padre e poi l’unico figlio in vita, dopo la morte dei fratelli per tisi. Si laureò in giurisprudenza a Bologna, divenne giornalista e si impegnò in politica nel Partito Socialista Italiano; fu eletto nel Parlamento per la prima volta nel 1919 e rieletto nel 1921. Uomo battagliero e integerrimo, soprannominato “Tempesta” dai suoi compagni, si impegnò nel Parlamento e nel partito per arginare la possibile crescita del fascismo.
I socialisti erano il partito di maggioranza nel Parlamento, di poco più grandi del Partito Popolare di Don Sturzo e del Blocco Nazionale composto dai liberali di Giolitti e dai Fasci di combattimento di Mussolini. Nel 1921 Matteotti fece pubblicare la “Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia” in cui denunciò in maniera documentata le gravi violenze messe in atto dalle “squadre d’azione” fasciste durante le elezioni del 1921.
Purtroppo il Congresso del PSI di Roma nell’ottobre 1922 decise di estromettere dal partito i “riformisti”, come Matteotti e Turati, che volevano allearsi con le forze democratiche borghesi e cattoliche anche per impedire la crescita dei fascisti, allora ancora un partitino, ma molto aggressivo e mandante di intimidazioni violente in tutto il Paese. I giorni successivi fu fondato, dagli estromessi, il Partito Socialista Unitario (PSU), cui aderì la maggioranza dei parlamentari socialisti e Matteotti ne fu nominato segretario, mentre il PSI avviò il processo per aderire all’Internazionale Comunista.
Una politica più accorta dei socialisti avrebbe forse potuto evitare il baratro, ma in meno di due anni (1921/22) si successero quattro governi instabili e debolissimi. A fine ottobre ‘22 Mussolini decise per il colpo di stato, organizzando (pur restando a Milano) la marcia su Roma, colpevolmente resa vincente dall’ignavia del governo e soprattutto dall’indecisione del re che rifiutò di firmare il decreto di stato d’assedio di Roma. Poco dopo il re nominò Mussolini presidente del Consiglio ed iniziò il ventennio nero per il Paese.
Nell’aprile 1924 Matteotti si recò a Londra per alcuni incontri e per far pubblicare il suo libro “Un anno di dominazione fascista” tradotto in inglese e presentato con il titolo “Fascists exposed: a year of Fascist Domination” in cui, dopo un anno di governo Mussolini, testimoniava il continuare degli atti di violenza dei fascisti sugli oppositori inermi, le leggi inique approvate dal nuovo governo e il supporto ai capitalisti e latifondisti ai danni di tutti gli altri cittadini.
Nel maggio 1924, dopo che il governo aveva costretto il Parlamento ad accettare una legge elettorale truffaldina, si ebbero di nuovo le elezioni nel Paese. Saranno le ultime fino alla fine della II Guerra Mondiale, non potendo certo considerare elezioni i buffoneschi plebisciti del ’29 e del ‘34. Con pesanti violenze in tutto il paese il risultato fu la larga vittoria del Partito Nazionale Fascista (PNF) e dei liberali conservatori, loro alleati. Matteotti fu tra i pochi socialisti rieletti, pochissimi furono anche i parlamentari del partito Popolare eletti.
Il discorso fatale
Matteotti era sempre stato molto attivo come deputato, si preparava con scrupolo prima di ogni intervento, passava tante ore presso la Biblioteca della Camera “a sfogliare libri, relazioni, statistiche, da cui attingeva i dati che gli occorrevano per lottare, con la parola e la penna, badando a restare sempre fondato sulle cose” (citazione da un libro a lui dedicato da O. Morgari). Durante i suoi mandati aveva preparato numerosi disegni di legge e documenti ed era più volte intervenuto nel dibattito parlamentare.
Il 30 maggio 1924 Matteotti intervenne alla Camera con un discorso coraggioso ed intransigente per contestare il comportamento del governo ed i risultati delle elezioni tenutesi in aprile. È un documento prezioso da leggere per comprendere quel che era successo nel Paese, sequestrato da una minoranza facinorosa.
Fra gli argomenti gravi che Matteotti sottolineò nel suo intervento, continuamente interrotto dai parlamentari fascisti, erano la dichiarazione di Mussolini circa le sue vere intenzioni: “(…) abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal Governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso – come ha dichiarato replicatamente – avrebbe mantenuto il potere con la forza (…).”
Poi Matteotti documentò l’intimidazione diretta esercitata sugli elettori: “(…) Per vostra stessa conferma (dei fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà. (…) Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse (…).” Continuò elencando vari casi in cui fu impedito di presentare altre liste concorrenti a quella fascista; numerosi casi in cui candidati furono costretti a non parlare o addirittura furono picchiati, come l’On. Gonzales di Genova. Infine Matteotti stigmatizzò che nel 90% dei casi i seggi furono composti solo da militanti fascisti e i rappresentanti di altre liste non furono ammessi alle operazioni; che fu controllato in molti casi direttamente il voto degli elettori, soprattutto nelle zone rurali e che alcuni soggetti votarono varie volte a nome di elettori cui era stato confiscato il certificato elettorale. Alla conclusione del suo intervento Matteotti disse: “(…) per queste ragioni noi domandiamo l’annullamento in blocco della elezione di maggioranza. (…) Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, (…) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. (…).” Parole chiare e veramente profetiche rispetto a quello che stava succedendo in Italia.
Terminato, dopo aver subito la gazzarra dei fascisti, si rivolse all’amico e compagno di partito, l’On. Giovanni Cosattini, eletto in Friuli, che si stava complimentando per il discorso, con la terribile frase: “Però voi adesso preparatevi a fare la mia commemorazione funebre”.
L’assassinio e le motivazioni
Il 10 giugno 1924 Matteotti si stava recando a Montecitorio a piedi, mentre percorreva il Lungotevere Arnaldo da Brescia, da un’auto in sosta scesero due individui che lo bloccarono e cercarono di caricarlo di peso sull’auto. Il giovane deputato si svincolò, tentando di fuggire, un terzo malvivente lo colpì e in tre lo riuscirono a caricare in auto, dove attendevano gli altri due componenti della squadraccia fascista. Matteotti riuscì a buttare fuori dall’auto il suo cartellino da deputato, che fu poi ritrovato sul Lungotevere, ma fu subito ucciso a coltellate dai fascisti. Le ragioni dell’assassinio furono, fin da subito, facilmente imputate alla forte irritazione del dittatore per il vibrante discorso di Matteotti che denunciò i brogli e le violenze dei fascisti e chiese l’annullamento dei risultati elettorali. Era chiaro che il segretario del PSU era un avversario documentato e irriducibile. Alcuni storici nel dopoguerra aggiunsero che una seconda ragione dell’urgenza per i fascisti di eliminare Matteotti fosse dovuta al fatto che le spie fasciste, che lo sorvegliavano, avevano scoperto che proprio quel giorno egli avrebbe voluto effettuare un nuovo intervento parlamentare denunciando quanto aveva scoperto sulle attività di corruzione messe in atto dalla Sinclair Oil per ottenere la concessione petrolifera su tutto il territorio italiano, corruzione che coinvolgeva Arnaldo Mussolini, fratello minore di Benito e, forse, anche direttamente il re. A tale proposito gli fu rubata la borsa con documenti compromettenti, tale borsa poi fu presa e conservata da De Bono, che tentò di usarla come mezzo di baratto per evitare la condanna capitale impartita nel processo di Verona del ‘44, per aver votato la sfiducia al dittatore e consegnò i documenti di Matteotti a Mussolini, ma fu fucilato lo stesso.
L’assenza di Matteotti in Parlamento creò una forte sorpresa, le voci iniziarono a correre non solo nei palazzi del potere, già l’11 giugno alcuni giornali riportarono la notizia della scomparsa. Il giorno successivo, ad una specifica interrogazione parlamentare avanzata dal deputato socialista Enrico Gonzales, Mussolini ebbe la improntitudine di dichiarare: “Credo che la Camera sia ansiosa di avere notizie sulla sorte dell’onorevole Matteotti, scomparso improvvisamente nel pomeriggio di martedì scorso in circostanze di tempo e di luogo non ancora ben precisate, ma comunque tali da legittimare l’ipotesi di un delitto, che, se compiuto, non potrebbe non suscitare lo sdegno e la commozione del governo e del parlamento.”
La polizia ed i magistrati incaricati di indagare furono rapidissimi e, nel giro di pochi giorni fu individuata l’auto del sequestro e si risalì così al suo proprietario, che fuggì e fu catturato e imprigionato prima che riuscisse a scappare in Francia. Confessò subito ed indicò il nome dei componenti della squadraccia che aveva assassinato Matteotti ed il nome dei mandanti: il quadrumviro De Bono, capo della polizia, e lo stesso Presidente del governo, Mussolini.
Sarebbe sconcertante seguire la serie di tradimenti, ricatti, attività di spionaggio, colpi bassi di cui è stata costellata la vita dei delinquenti coinvolti in questo assassinio a partire dagli sgherri della squadraccia, fino ai principali mandanti: Mussolini e soci. Un dipinto vivido dello squallore e della pochezza umana di un sistema a supporto della dittatura; non solo un insieme di personaggi violenti, ma un campionario di vigliacchi, profittatori e traditori pronti a pugnalarsi a vicenda, tale da dar ragione all’invettiva di Schopenhauer: “(gli italiani) … sono a vicenda arroganti e sfrontati, oppure vili e abbietti”.
Il corpo di Matteotti, ricercato attivamente in vari boschi e recessi, fu ritrovato casualmente a una trentina di chilometri a nord di Roma, nelle campagne di Riano, circa due mesi dopo l’omicidio, il 16 agosto 1924. Il brigadiere dei carabinieri Ovidio Caratelli era andato a caccia ed il suo cane fiutò qualcosa sepolto dal terriccio. Il corpo fu riconosciuto grazie ad una perizia odontoiatrica. Il 20 agosto partì da Monterondo, la stazione più vicina al luogo di ritrovamento, un treno con il cadavere del deputato socialista per riportarlo nella sua nativa Fratta Polesine; lungo il percorso migliaia di persone salutarono l’ultima volta l’eroico martire del fascismo. Fu sepolto con la presenza di molti dei cittadini del piccolo centro, che lo chiamavano “il capo dei lavoratori”. Dopo varie vicissitudini, per evitare che il corpo fosse trafugato, nel 1928 fu definitivamente sepolto nella cappella di famiglia in un sarcofago di marmo nero donato dagli operai di Bruxelles, incontrati da Matteotti poco prima del delitto durante una riunione dell’Internazionale socialista.
L’Aventino, il mandante, la dittatura
Le indagini andarono avanti con successo, in breve l’assassino e gli altri quattro della squadraccia fascista furono arrestati. Il 17 giugno il dittatore fu costretto a imporre le dimissioni ai due gerarchi più vicini agli assassini e già indicati come colpevoli dalla stampa e dall’opinione pubblica, uno di essi era il capo della polizia politica, la “ceka” fascista; De Bono dovette dimettersi da capo della polizia. Dopo poco l’incarico al magistrato incaricato fu tolto, le indagini fermate e successivamente gli arrestati, difesi con enfasi dal segretario del PNF Farinacci, furono liberati.
Il 27 giugno 1924 si riunirono nella sala della Lupa del Palazzo Montecitorio (oggi nota come “sala dell’Aventino”) la gran parte dei deputati all’opposizione; circa 130 di loro decisero di abbandonare i lavori parlamentari fino a quando il governo non avesse chiarito la sua relazione con l’assassinio di Matteotti e fino a quando i colpevoli non fossero condannati. Fra questi deputati vi furono quasi tutti gli eletti nei partiti Popolare, Socialista Unitario, Socialista Italiano, Comunista, Repubblicano, Democratico Sociale e Sardo d’Azione. Questa azione fu definita la “Secessione dell’Aventino”, ricordando che nell’antica Roma i plebei si accamparono sull’Aventino, affiancati dall’esercito, perché i decemviri nel 449 a.C. non si dimisero, avviando un tentativo di colpo di stato e facendo uccidere un ex tribuno della plebe che li aveva criticati aspramente. La difesa della legalità ebbe successo in quegli anni lontani; i decemviri si dimisero, furono eletti i tribuni della plebe ed i consoli, la popolazione lasciò l’Aventino e l’esercito uscì di nuovo furi dalla città.
Le motivazioni dell’Aventino le spiegò efficacemente il deputato liberale Giovanni Amendola, concludendo: “Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l’illegalismo, esso è soltanto una burla”. I deputati secessionisti erano contrari a promuovere azioni di insurrezione popolare e non vollero tentare di coordinarsi con gli altri deputati all’opposizione, ma non aderenti all’Aventino. La loro speranza era riposta nel fatto che, vista la sempre più evidente e conclamata responsabilità dei fascisti e del loro capo nell’aver assassinato Matteotti, il re assumesse la decisione di licenziare Mussolini come Presidente del governo e di indire nuove elezioni.
Mentre nel Paese c’era lo sconcerto per quanto era accaduto e continuavano le violenze delle squadre fasciste, il gruppo dell’Aventino non riuscì ad esprimere una posizione politica comune, Gramsci propose, inascoltato, di dichiararsi “Anti-parlamento” e di proclamare lo sciopero generale; gli Aventiniani non riuscirono a decidere, allora il Partito Comunista uscì dal gruppo. Amendola tentò ai primi del novembre l’ultima carta, incontrò il re Vittorio Emanuele III e gli mostrò due memoriali dei criminali arrestati in cui dichiaravano le responsabilità del dittatore che, a proposito del deputato socialista avrebbe detto “quest’uomo non deve più circolare”. Pare che il re si nascose il viso dicendo di “essere cieco e sordo” ed aggiunse che i suoi occhi e orecchie erano il parlamento; riconsegnò i documenti senza prendere alcun provvedimento. Anche in questa occasione quel moderno Ponzio Pilato dimostrò la sua vigliaccheria, che fu una sciagura per il nostro Paese.
Intanto nel Partito Fascista si avviò un acceso confronto fra i gerarchi più violenti ed i più moderati, il re non era intervenuto, ma avrebbe potuto farlo; Mussolini decise che bisogna fare una scelta definitiva. Il 3 gennaio 1925 davanti alla Camera dei deputati dichiarò di avere la “responsabilità politica, morale e storica” dell’assassinio e del clima nel Paese, sfidando il parlamento a formulare un atto d’accusa contro di lui, ben sapendo che non ci sarebbe mai stata una maggioranza per farlo.
La dittatura era formalmente iniziata: nel giro di due anni furono promulgate le “leggi fascistissime” per imbavagliare la stampa libera e intimorire qualunque cittadino non asservito, fu approvata la decadenza dei deputati che partecipavano alla Secessione dell’Aventino, peraltro Amendola fu gravemente aggredito da una banda fascista e, in seguito alle percosse, nell’aprile ’26 morì in Francia dove era espatriato; pochi anni dopo furono uccisi sempre in Francia anche i fratelli Carlo e Nello Rosselli. Nel 1926 ci fu l’amnistia generale per prosciogliere anche gli assassini fascisti ancora in galera, fu reintrodotta la pena di morte nel regno, infine furono soppressi tutti i giornali e periodici antifascisti ed istituito il confino di polizia come procedimento amministrativo sulla base del solo sospetto.
La commemorazione nel 2024
È riportato, da varie fonti, che al Parlamento Matteotti aveva pronunciato una frase bellissima e profetica: “Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai.” È un nostro dovere che le sue idee e le sue battaglie siano ricordate e che la sua figura sia commemorata.
A firma della senatrice a vita Liliana Segre nel febbraio 2023 è stato ripresentato il disegno di legge per le celebrazioni dalla morte di Matteotti, già approvato nel ‘22 dal Senato, ma poi non finalizzato alla Camera per la fine anticipata della legislatura. La senatrice ha dichiarato “Ricordarlo a cento anni dalla scomparsa è un dovere per la Repubblica e rappresenta per tutti noi un monito a difendere i principi irrinunciabili di democrazia e libertà“. La Commissione approvò (AC 1178) l’atto nel luglio, erano previsti anche gli importi da spendere nel 2023 e nel 2024; entro settembre 2023 la Presidenza del consiglio avrebbe dovuto approvare le norme attuative. Finora le norme attuative non sono state pubblicate ed i fondi di competenza 2023 non sono stati impegnati, né erogati. Il tempo è stretto per arrivare al 10 giugno 2024, ma per ora niente bandi e niente iniziative, solo un assordante silenzio, come aveva denunciato settimane fa il sindaco di Fratta Polesine.
Sono in corso lavori di restauro per la casa-museo di Giacomo Matteotti finanziati dalla Cassa Risparmio Padova e Rovigo e per la tomba del martire antifascista, con fondi stanziati dalla Regione Veneto. A Rovigo hanno costituito nel 2022 un Comitato provinciale per le celebrazioni del centenario, presieduto dal sindaco di Fratta, cui partecipano una quarantina di istituzioni e associazioni. Previste già varie iniziative, convegni con il coinvolgimento delle Università di Ferrara e Padova, un lavoro con le scuole dal titolo “Pensiero che non muore”, una mostra commemorativa al Palazzo Roncale di Rovigo.
Ci auguriamo davvero che l’attuale governo con silenzi ed omissioni non prolunghi, a cento anni di distanza, la catena di riprovevoli azioni avviata vigliaccamente da Mussolini e dai suoi scherani fascisti a danno di Matteotti e del Paese tutto.
Foto di apertura: Giacomo Matteotti – Pubblico dominio, commons.wikimedia.org