Sono Maria Rica Mascari, moglie di Marco Costantini – Sbarre di Zucchero.

Partiamo da Roma intorno alle 8, direzione Napoli: ci aspettano davanti al Centro Direzionale a ridosso del carcere di Poggioreale per prendere parte ad una manifestazione.

lo non sono tanto entusiasta, ho i miei pensieri e mi sento “sradicata” dalla mia “comfort zone” e non ho molta voglia di uscire; è anche il compleanno di mio marito e avrei voluto dedicarmi a preparargli un pranzetto con i fiocchi e invece stiamo viaggiando verso Napoli. Stranamente impieghiamo meno di 2 ore per raggiungere il luogo dell’appuntamento e ce ne meravigliamo piacevolmente. Intanto che aspettiamo che arrivino gli altri partecipanti con mio marito ci andiamo a prendere un caffè: non si può venire a Napoli e non prendere un caffè. Il caffè di vedere queste persone dietro le sbarre che inneggiavano alla nostra presenza mi ha fatto pensare. Mi guardavo intorno e ho fatto un confronto: di fronte al carcere c’è il palazzo di giustizia e mi è venuto un pensiero strambo, ma non così strano in effetti. Il pensiero è questo: il carcere è un contenitore le cui pareti sono vecchie e trasudano umidità perché chi viene posto al suo interno viene considerato un po’ come uno scarto societario, quindi un involucro brutto per un contenuto altrettanto brutto; esattamente di fronte il palazzo di giustizia, dal design super bello, ma sempre di un contenitore si tratta, contiene a sua volta persone, in giacca e cravatta, ma sono persone e come tali sono comunque fallibili e potrebbero per un qualsiasi motivo in un qualsiasi momento della loro vita ritrovarsi dall’altra parte della strada dentro l’altro contenitore. Purtroppo le persone in giacca e cravatta non pensano che questa estrema eventualità possa accadere e non provano empatia per le persone dall’altra parte della strada e questo è quello che mi lascia sempre I’amaro in bocca. Alla fine in corteo giriamo intorno al carcere e sono assorta in questi pensieri, vorrei che chi di dovere si mettesse nei panni di chi delinque per capire le reali motivazioni che spingono ad attraversare la strada: non accadrà mai perché la retorica la vince sulla realtà dei fatti.

Intorno a mezzogiorno tutto finisce e con il garante e don Franco l’appuntamento è rimandato al pomeriggio nella struttura di don Franco per un dibattito su quali possono essere le soluzioni attuabili per creare un carcere che rieduchi e reinserisca gli ex detenuti nella società. Nell’intervallo tra questi 2 eventi ci ritagliamo uno spazio solo per noi: ce ne andiamo a mangiare pesce in un ristorante dove la simpatia del cameriere (è riduttivo chiamarlo così) valeva da sola tutto il pranzo ottimo.

Nel pomeriggio veniamo qui nella struttura di don Franco e assisto al dibattito, costruttivo come sempre.

La serata la finiamo mangiando la pizza in un locale del Rione e poi stanchi, ma arricchiti interiormente ce ne torniamo verso casa.

Riflessioni: non sono un avvocato, né un magistrato, non so se mai lo fossi diventata avrei perso la mia umanità, ma sono sicura che I’empatia è fondamentale in alcune circostanze.

Vivo in un quartiere non proprio elitario, ma non per questo sono stata mai tentata dal lato oscuro, al contrario non ho mai giustificato chi si faceva allettare dal male; adesso dopo tanti anni ho capito che per alcuni l’unica soluzione per sopravvivere alla miseria è cedere alla tentazione.

Posso dire che un magistrato dovrebbe mettersi sempre nei panni di un accusato e cercare di capire il perché.

Spero sempre nella bontà dell’essere umano.

 

 

 

 

 

 

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