Assistiamo a una levata di scudi contro il cosiddetto Emendamento Costa, recepito dal governo e approvato dal Parlamento, ormai definito “legge bavaglio“.

Ecco il testo: “…il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”.

Ciò, evidentemente, a una semplice lettura della norma, non impedirà di pubblicare la notizia, cioè il fatto che a una persona indagata sia stata imposta una misura cautelare, né di riassumere il contenuto di quel documento e le informazioni che descrive. Qualsiasi interpretazione diversa si scontra chiaramente con la norma stessa che non impedisce nella maniera più assoluta la diffusione della notizia e tutte le informazioni utili.

D’altronde, questa norma già esisteva prima del 2017 e non mi sembra che avesse impedito alla stampa di informare i lettori. Per non parlare della situazione esistente con il vecchio codice, fino cioè al 1989, con una estesa lista di atti coperti dal segreto.

 

La pubblicazione di atti processuali è in gran parte regolata dall’articolo 114 del codice di procedura penale, che l’emendamento vuole appunto riportare alla sua versione precedente al 2017. L’articolo vieta del tutto di pubblicare gli atti coperti da segreto d’ufficio, cioè quelli che non sono ancora stati depositati in cancelleria e consegnati alle “parti”: il pubblico ministero (l’accusa), gli avvocati difensori e le “parti civili”, ovvero chi si ritiene danneggiato dal reato in questione.

Ora c’è da chiedersi perché la protesta, partita da Repubblica, è cavalcata dai partiti di sinistra; semplicemente perché la “legge bavaglio” fa audience e si pensa così di potersi ergere a paladini della libertà di stampa. Ma il problema della libertà di stampa è una cosa seria e sempre più viene minacciata nel mondo, passando dalla censura all’autocensura, fino alla minaccia nei confronti dei giornalisti o al loro omicidio.

Tralascio in questa sede due problemi che meritano un’analisi a parte: il cosiddetto Spoil System e i finanziamenti alla stampa. Nella quattordicesima legislatura fu approvato quel sistema, Spoil System appunto, che permette alla maggioranza di mandare a casa le governance delle imprese pubbliche o a partecipazione pubblica con l’effetto di impedire programmazioni che vadano oltre ai cinque anni o a volte meno, consentendo ai partiti di maggioranza di occupare più che di amministrare, e questo è quello che succede alla RAI.

La seconda questione è legata al finanziamento alla stampa. Non esiste democrazia senza libera stampa e senza partiti. Ambedue, partiti e stampa, sono stati massacrati dall’ondata di populismo che prosegue, dimentichi del fatto che la democrazia ha un costo ineludibile e se non sosteniamo questi due perni democratici, ne fa le spese il sistema democratico.

Per il resto, viva la libertà di stampa!