L’ “equilibrio” è per definizione la capacità di percepire e adattare il movimento del corpo rispetto alla forza di gravità e alle altre forze esterne. Può essere stabile, instabile o indifferente a seconda che la massa spostata tenda a tornare nella posizione iniziale, tenda ad allontanarsene o rimanga in quiete nella nuova posizione. Si tratta di un concetto di grande fascino e di enorme complessità.

L’ultimo rapporto pubblicato da Save the Children nel maggio 2024 e dedicato alle donne viene intitolato proprio “Le equilibriste”.

A quanto pare le donne e le madri di questo Paese devono conoscere bene l’arte circense la sola in grado di offrire loro gli strumenti utili per poter restare dritte sulle funi estremamente esili che l’Italia ci propone come strade.

Probabilmente anche tutto il vociare che è stato fatto negli ultimi mesi relativo alle politiche lavorative a favore delle donne è stato solo un vociare che non ha dato grandi risposte alle problematiche che da troppo tempo ormai ci affliggono.

Nel Rapporto si evidenzia come la presenza delle donne nel mondo del lavoro si riduca in presenza di un figlio e sia nettamente inferiore rispetto alla media europea. 

Le donne raggiungono livelli di istruzione superiore e con profitti maggiori rispetto agli uomini ma malgrado questo le loro occupazioni lavorative si concentrano sempre in determinati settori e con presenze poco o per nulla significative per quel che riguarda posizioni di vertice o di leadership. Se infatti nei settori quali quello sociale, quello dell’istruzione e quello della sanità le donne sono presenti in percentuale molto alta, scarseggiano, invece, con percentuali che si attestano intorno al 18% e 28% per quel che riguarda rispettivamente l’ambito dei professionisti e dei manager.

Questa evidente disparità di genere si riflette sulle posizioni apicali e sui salari.

Anche i percorsi lavorativi legati alle STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) ambiti dominati da una forte presenza maschile mostrano un divario retributivo a dir poco spaventoso. A questo proposito è forse il caso di aggiungere che continuare a fare delle analisi scolastico attitudinali basate sul valore del gender gap sia assolutamente retrogrado e discriminatorio. Dire ad una bambina o far leggere a una adolescente che i maschi sono più bravi delle femmine in determinate materie significa svantaggiare la partecipazione femminile a tutta una serie di campi e condizionare il talento svantaggiando lo sviluppo del cosiddetto locus of control. (Per approfondimenti cfr, Consuelo Quattrocchi, in Il Diritto e i percorsi della cultura contemporanea, cap. 26, pp. 211-231, maggio 2022)

Il Rapporto evidenzia come il divario salariale sia proprio la prova palese di come esistano in ambito lavorativo delle forti discriminazioni di genere.

Ovviamente a mantenere vivo il divario sono gli stereotipi e i retaggi culturali che, come un macigno, continuiamo a portarci sulle spalle. La necessità, poi, di dover conciliare il rapporto lavoro-famiglia rende le donne nettamente svantaggiate rispetto agli uomini. Una lavoratrice su cinque decide infatti di abbandonare il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Il 74% del carico di ore di lavoro non retribuito dedicato all’assistenza e alla cura grava sulle spalle delle donne. Il 60% dei padri dedica alla cura dei figli meno di 3 ore al giorno. Questi dati si collegano strettamente al fenomeno sintetizzato con il termine motherhood penalty ovvero quel fenomeno di disparità che si crea fra uomo e donna e relativamente al quale se il numero delle donne in occupazioni lavorative diminuisce in presenza di un figlio quello degli uomini aumenta.

Si tratta di un fenomeno inversamente proporzionale. Questo tipo di divario tende a variare a seconda dell’area geografica in cui viene stimato.

È particolarmente interessante vedere come le percentuali varino anche in base al titolo di studio.

Si è stimato che anche 15 anni dopo il parto le donne guadagnino in media il 40% in meno rispetto alle donne che non sono madri. Questo, malgrado, la Cassazione si sia espressa in tal senso: “L’anzianità di servizio non dipende dalle ore di lavoro svolte, quindi svalutare il part time ai fini della progressione economica, significa, nei fatti penalizzare le donne rispetto agli uomini”. (Sentenza 18 maggio 2021 n.15999).

Le dimissioni volontarie dopo l’arrivo dei figli sono aumentate rispetto allo scorso anno del 17,1%.

Questi dati estremamente sconfortanti ci inducono a pensare che sia necessario attuare significative riforme nell’ambito delle politiche familiari al fine di sostenere le famiglie e promuovere la natalità.

Il Rapporto risulta essere di grande interesse a questo proposito perché stimola il confronto fra numerosi Paesi tra cui ve ne sono di estremamente virtuosi da cui sarebbe bello poter trarre ispirazione.

La Francia, per esempio, ha adottato un modello di settimana lavorativa di 35 ore. È facile comprendere come in questo modo entrambi i genitori abbiano possibilità di lavorare a tempo pieno e come il rapporto fra lavoro e qualità della vita sia in questo modo notevolmente agevolato.

Il Rapporto si chiude con delle esortazioni al nostro “Bel Paese” che ci si augura vogliano essere prese in considerazione vista la loro indubbia fondatezza.

Fra gli spunti interessanti in materia di “Condivisione della cura” c’è quello che concerne l’introduzione dell’obbligatorietà del congedo parentale nonché la promozione di campagne di comunicazione e sensibilizzazione rivolte a tutte le generazioni.

In materia di “Welfare e lavoro” si chiede di promuovere sgravi fiscali a favore delle madri lavoratrici, impegno da parte delle imprese finalizzato a garantire misure di conciliazione a favore dei genitori e della promozione della parità di genere e della tutela del lavoro delle madri, applicazione del principio della parità di retribuzione e investimenti costanti in politiche di welfare a favore delle giovani coppie.

In materia di “Servizi per la prima infanzia” si propone di garantire gli investimenti per asili nido e servizi per la prima infanzia e garantire servizi educativi paritari fra condizioni economiche diverse.

Auspicando che, almeno parte di queste proposte, vengano accolte non possiamo non evidenziare come nascere in un Paese come questo sia divenuto elemento di svantaggio per i più preziosi attori sociali: donne, giovani e bambini.