Mentre in Italia ricordavamo le vittime dell’alluvione che un anno fa con inaudita violenza colpiva vaste aree dell’Emilia Romagna, una regione distante da noi oltre diecimila chilometri ma vicinissima per una storia ultrasecolare segnata fortemente dalla presenza italiana riviveva lo stesso dramma con una intensità e – soprattutto – una contabilità di morti e sfollati dieci volte superiore.
188 morti, un numero probabilmente destinato ad aumentare considerando l’alto numero di dispersi (88 al 16 giugno); 581mila sfollati, solo in parte ospitati oggi in campi di emergenza allestiti dalle autorità brasiliane e internazionali. Sicuramente una delle maggiori tragedie della storia del Brasile.
Il Rio Grande del Sud è lo Stato del Brasile dove si è consumata questo ennesimo dramma del cambiamento climatico, dove con questa definizione ci si vuole riferire non soltanto all’innegabile potenza di una mutazione genetica dell’ecosfera ma anche alle altrettanto incontrovertibili conseguenze dell’incuria e dell’irresponsabilità dell’uomo attraverso i suoi interventi sul territorio.
L’esondazione del Guaìba, il grande fiume che sfocia nella vasta piana su cui sorge la capitale dello Stato, Porto Alegre, è stata di proporzioni mai viste raggiungendo in alcuni punti i 6-8 metri di altezza; addentrandosi nella regione, nei territori che tra il finire dell’ottocento e l’inizio del novecento furono colonizzati dagli italiani (prevalentemente arrivati dalle regioni del nordest), la devastazione è sembrata poi assumere contorni ancora più drammatici, forse perché stridente con la dolcezza di quei paesaggi e di quelle costruzioni che a un turista distratto potrebbero dare l’impressione di trovarsi in una qualsiasi valle delle nostre Prealpi. Le tipiche costruzioni contadine di alcuni paesi dell’interno, come ad esempio Antonio Prado, sono divenute oggetto di studi e di attività di preservazione e recupero storico anche grazie ad un progetto dell’Istituto italo-latinoamericano e sono oggi candidate a siti Unesco. Il “Talian”, la lingua parlata ancora oggi da tanti nostri discendenti nel Rio Grande del Sud, è stato dichiarato dallo Stato brasiliano “patrimonio immateriale” del Paese ed è studiata nelle università italiane per le sue peculiarità linguistiche non più riscontrabili nemmeno nei luoghi di partenza degli emigrati.
Nel Rio Grande del Sud vive una collettività italiana di oltre 120mila unità, mentre sono almeno quattro milioni (oltre un terzo degli abitanti dello Stato) a poter vantare un antenato italiano. Il Consolato Generale d’Italia a Porto Alegre, oggi guidato dal giovane e competente diplomatico Valerio Caruso, ha vissuto un dramma nel dramma: i suoi locali sono stati tra i primi immobili della capitale ad essere stati invasi dalle acque, proprio mentre il Console Generale si stava prodigando per favorire e coordinare donazioni ed aiuti.
All’indomani della tragedia sono intervenuto in Parlamento chiedendo alle nostre istituzioni e in primis al nostro governo, un gesto concreto di solidarietà alla popolazione colpita; un intervento al quale sono seguite prima le dichiarazioni del Ministro degli Esteri e del Presidente del Consiglio e quindi l’invio di un aereo militare con 25 tonnellate di aiuti umanitari. Ma, come in tutte le grandi tragedie, l’emergenza non è circoscritta alle poche settimane o ai mesi che seguono gli eventi naturali. Abbiamo il dovere di mantenere alta l’attenzione di quanti hanno a cuore il futuro di questi territori e delle loro popolazioni così duramente colpite. Per questi motivi vanno sostenute e divulgate tutte le iniziative utili in questo senso. Personalmente ho promosso tramite l’Associazione di Amicizia Italia-Brasile una grande iniziativa umanitaria che grazie alla ONG brasiliana “Escola Viveiro” e al contributo della “Pantalica Partners” porterà in Brasile diversi containers di aiuti e donazioni provenienti dall’Italia, dando quella necessaria continuità alla cooperazione internazionale e quindi al sostegno al Rio Grande do Sul nei mesi più duri, quelli invernali che al sud del Brasile è particolarmente rigido.
Proprio quest’anno stiamo commemorando i 150 anni dell’emigrazione italiana in Brasile, un fenomeno storico che oggi è plasticamente rappresentato dai 33 milioni di italo-brasiliani che costituiscono la maggiore collettività di discendenti italiani al mondo; per fare sì che questa ricorrenza non sia relegata alla sterile ripetizione di atti celebrativi dobbiamo dare sostanza anche alla nostra solidarietà con questa comunità lontana geograficamente ma intimamente legata alle proprie origini italiane. Lo dobbiamo alla nostra storia e quindi al sacrificio di quei coloni che oltre un secolo e mezzo fa lasciarono il nostro Paese alla ricerca della “Merica”.