Nelle peregrinazioni su internet per leggere le novità nel mio settore disciplinare, ho scoperto recentemente un libretto pubblicato nel 1989 a Venezia da uno studioso del Centro Tedesco di Studi Veneziani: Helmut Schippel – “La storia delle privative industriali nella Venezia del ‘400”. Lettura godibilissima e soprattutto informazioni inattese e affascinanti. Le racconto in breve di seguito.

Se qualcuno avesse chiesto a me dove fosse nata la legislazione per i brevetti, non sapendolo con certezza, avrei risposto: nel Regno Unito o in Francia. Avrei sbagliato, indotto all’errore dalle nozioni sui lumi e sulla prima rivoluzione industriale, ma anche perché le informazioni in merito non sono proprio di dominio comune.

Nell’Inghilterra del Seicento, rotto il rapporto con la Chiesa Cattolica nel secolo precedente e liberalizzate le fedi protestanti, ad iniziare dall’anglicana, si erano rafforzate le due nuove classi sociali: la piccola e media nobiltà (gentry), molti dei cui esponenti erano divenuti veri e propri imprenditori dediti a investire denaro in attività che sembravano poter essere lucrose, e la borghesia composta da mercanti, commercianti, professionisti, artigiani e anche piccoli proprietari terrieri (yeomen).

Erano questi i due veri motori dell’economia inglese in rapida crescita, i futuri promotori della prima rivoluzione industriale nella seconda metà del Settecento, incentrata sul settore tessile, grazie all’introduzione della spoletta volante, e su quello metallurgico in virtù della macchina a vapore.

Giacomo I

Nel frattempo i sovrani avevano sempre maggior bisogno di risorse per tenere a bada le cicliche rivolte interne promosse proprio dalla borghesia e per finanziare attività di guerra e colonizzazione. Giacomo I nel 1623 decise di far cassa con due leggi: la prima permetteva di vendere le investiture nobiliari e la seconda, lo “Statute of Monopolies”, concedeva, con una tassa fissa, l’esercizio di attività imprenditoriali (p.es. produrre un sapone, una stoffa particolare, una birra locale, carte da gioco, libri di scuola). Il monopolio era concesso per un tempo definito e per riottenerlo gli imprenditori dovevano pagare allo Stato un prezzo più alto.

Nell’articolo di Peter Kurz su “Il nuovo Saggiatore” (vol. 40, Nr. 1-2 del 2024, pagg. 28-35) si specifica che nello “Statute of Monopolies” solo la Sezione VI si occupava della protezione della proprietà intellettuale, esentando i “brevetti d’invenzioni” dal pagamento della tassa per 14 anni, considerando che il titolare aveva così “il tempo per formare due generazioni di apprendisti, mentre il brevetto era protetto”.

Per lungo tempo questa fonte di diritto fu considerata la data di nascita dei brevetti a livello mondiale. Negli anni Trenta dello scorso secolo, uno studioso veneziano, Giulio Mandich, scoprì e rese pubblico un documento promulgato dal Senato della Repubblica di Venezia il 19 marzo 1474. La “Parte Veneziana sulle invenzioni” fu pubblicata 550 anni fa, dovremmo celebrarla nel nostro Paese, che invece si dimostra poco attento ai tanti retaggi storici positivi che i nostri avi ci hanno lasciato. Il documento peraltro fu redatto circa 50 anni prima di quello inglese. È bello riportare l’inizio della “Parte Veneziana”, ripreso dal libro di Schippel.

El sono in questa Cità, et anche ala zornada, per la grandeza et bontà soa concorre homeni da diverse bande, et accutissimi ingegni, apti ad excogitar et trovar varij ingegnosi artificij.” La Repubblica si accorge che vi sono numerosi cittadini o persone immigrate che hanno capacità di mettere a punto strumenti di interesse ed utilità “che sariano de non picola utilità et beneficio al stado nostro”. Intende dunque incoraggiarli nel realizzare la loro invenzione, proteggendo gli autori da possibili plagi: “Siando prohibito a chadaun altro in alguna terra e luogo nostro, far algun altro artificio, ad imagine et similitudine di quello, senza consentimento et licentia del auctor, fino ad anni X”.

Si tratta di una prima vera e propria legge in materia, anche se l’autore riporta che anche in precedenza, pur non essendoci una specifica legge, vi erano stati casi in cui in altri stati italiani e tedeschi si garantivano privilegi alle persone che avevano inventato un oggetto o uno strumento innovativo, per sfruttarne in esclusiva l’uso. Schippel riporta: “La prima privativa industriale di cui abbiamo notizia a Venezia venne accordata, nel 1444, ad un francese, per un mulino con il quale si poteva macinare il grano senz’acqua. Il titolare del brevetto si chiamava Antonius Marini de Francia. (…) Per vent’anni dunque a questo Antonius Marini venne garantita tutela da indesiderata concorrenza per la fabbricazione e l’impiego dei suoi mulini”.

Un altro esempio di privilegio personale ancora più antico e considerato il “primo brevetto d’invenzione al mondo”, fu riscoperto da uno studente tedesco, J. Gaye, nel 1839 negli archivi di Firenze. Kurz lo racconta nel suo documentato articolo; l’inventore era Filippo Brunelleschi, il geniale artista e architetto. Ser Filippo partecipò al concorso di idee promosso dalla Signoria di Firenze nel 1418 per completare il Duomo, iniziato nel 1296 su progetto di Arnolfo da Cambio. Bisognava ideare una cupola molto ampia che si elevasse sul tamburo ottagonale, erano notevoli le difficoltà tecniche, tanto da sembrare insormontabili. Come sappiamo Brunelleschi vinse il concorso e dal 1420 iniziò a lavorare alla cupola di Santa Maria del Fiore che fu terminata quattordici anni dopo e tuttora ci stupisce nella sua armonica maestosità.

Ebbene uno dei problemi (economici e logistici) da risolvere era quello di trasportare i blocchi di marmo da Carrara a Firenze. Brunelleschi progettò una nave o chiatta e, poiché doveva essere realizzata da un cantiere (cui dare disegni precisi) e qualcuno dei suoi concorrenti (ad iniziare dal Ghiberti suo ex socio) poteva copiare l’idea, decise di chiedere un “privilegio esclusivo”. Gli fu concesso dal Consiglio della città il 19 giugno 1421, imponendo anche addirittura il divieto di costruire navi da trasporto per 3 anni nel territorio della Signoria. Per la cronaca non si sa molto sull’aspetto della nave, in un goffo disegno del tempo era soprannominata “il Badalone” (il mostro). Nel 1428 ci fu il viaggio di inaugurazione, ma fu sfortunato; le circa 100 tonnellate di marmo bianco a bordo fecero affondare la nave nei pressi di Empoli; Brunelleschi tentò di salvare il carico, senza riuscirci e così perse una grande parte dei suoi introiti e la Signoria diede ad altri l’incarico del trasporto dei marmi.

Galileo Galilei

Un altro interessante “privilegio” fu concesso nel 1469 al tedesco Johann von Speyer (Giovanni da Spira) per l’introduzione a Venezia della stampa con i caratteri mobili. Nel 1455 a Magonza -70 km da Spira- Gutenberg aveva stampato per la prima volta con questo sistema la Bibbia. Il privilegio sarebbe durato per cinque anni e non era trasferibile, ma von Speyer morì improvvisamente, pochi mesi dopo aver ottenuto il privilegio e il nuovo sistema di stampa poté diffondersi in Venezia senza impedimenti. Era una delle città più grandi e cosmopolita del mondo e Schippel si compiace di notare: “Nei primi quattro anni dal 1470 alla fine del 1473 vennero stampati ed editi a Venezia 176 diversi libri, nel 1481 erano già 593. Alla fine del Quattrocento, 150 stamperie veneziane avevano prodotto più di 4000 edizioni, il doppio che a Parigi, l’altro grande centro della stampa libraria in Europa”.

Negli anni precedenti la pubblicazione della “Parte”, Venezia aveva dovuto competere sulla terra ferma con le mire espansionistiche di Milano e in Oriente con la crescente aggressività dei turchi, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453. Aveva quindi tutte le ragioni per diversificare le possibilità di ricevere utili, ecco perché la grande crescita delle stamperie, ecco anche il perché di un atto che incoraggiasse chi proponeva novità tecnologiche, soprattutto venendo dall’esterno, a metterle in atto con “non picola utilità et beneficio al stado”. Un bell’esempio di “cervelli importati” si era avuto con il prete friulano che progettò a inizio secolo la grande daga che permise l’allargamento del Canal Grande; fu ricompensato con 6.000 ducati (circa 600 mila Euro di oggi) e la costruzione della daga assommò a circa 10.000 ducati.

Ex post si può dire che la “Parte Veneziana” riuscì a sollecitare numerosi inventori a richiedere il privilegio per macchine ed attrezzature, ma anche per ritrovati che spaziavano dalle armature, a nuovi ponti, a specchi, ecc. “I supplicanti appartenevano a tutte le classi sociali. Troviamo artigiani ed ingegneri, commercianti, anche nobili e, nel 1508, perfino un ebreo, Joseph hebreo di Padova”.

Infine una privativa ventennale venne concessa nel 1594 a Galileo Galilei, che dal ’92 insegnava a Padova, per un impianto di pompaggio dell’acqua azionato dalla forza di due cavalli. Invece il fisico e astronomo pisano, non ritenne opportuno brevettare il suo cannocchiale, forse per non divulgarne la fattura, ma ne comprese subito non solo l’impiego per le osservazioni astronomiche, ma anche l’utilizzo marittimo e bellico. Al Doge Leonardo Donà nell’agosto 1609 Galilei scriveva di aver realizzato “un nuovo artifizio di un occhiale cavato dalle più recondite speculazioni di prospettiva, il quale conduce gl’oggetti visibili così vicini all’occhio, et così grandi et distinti gli rappresenta, che quello che è distante, v. g., nove miglia, ci apparisce come se fusse lontano un miglio solo: cosa che per ogni negozio et impresa marittima o terrestre può esser di giovamento inestimabile”. Poco dopo fu organizzata una dimostrazione (forse alla balaustra del Campanile) dove il Doge ed i Senatori poterono utilizzare il “nuovo occhiale”; fu un grande successo e Galilei guadagnò un premio di mille fiorini l’anno.

Venezia però non riuscì a diventare una potenza industriale; da una parte, pur essendo svincolata dal controllo del Papato, gli effetti antiscientifici dopo il Concilio di Trento (1563) si fecero sentire anche nella Repubblica, come in tutta Italia; si chiusero le Accademie, si colpirono i pensatori più originali, lo stesso Galilei fu costretto all’abiura (1633). Politicamente il confronto con l’Impero Ottomano culminò sì con la vittoria di Lepanto (1571), grazie alla Coalizione cristiana voluta con lungimiranza da Pio V, ma Venezia perse Cipro, molte delle sue galee e la sua potenza fu ridimensionata per i decenni seguenti.

Gli studi scientifici e le nuove tecnologie che lo splendore del Rinascimento aveva fatto sorgere e sviluppare nel nostro Paese, migrarono. Come conclude Schippel: “Altri stati ripresero la via ormai tracciata. In particolare l’Inghilterra, che nel XVII secolo si pose alla testa del progresso tecnologico in Europa e portò a ulteriore sviluppo l’idea della tutela delle invenzioni. Ma i primi a richiedere alla corona inglese la protezione delle loro invenzioni non erano inglesi. Erano italiani”.