Assente Angela Merkel dalla scena internazionale, è Emmanuel Macron a tentare il Grande Gioco. Complice la riapertura di Notre Dame, ospita a Parigi l’incontro trilaterale con Donald Trump e Volodymyr Zelenskyj. A Trump il protocollo dedica gli onori riservati al Capo di Stato che era e non è ancora. Siede in prima fila accanto al Presidente francese ed alla First Lady Jill Biden.
Stabilire il contatto diretto con l’Eletto, sempre scortato da Elon Musk, è prioritario. Nel mondo le parti in causa sono tanto numerose quanto ansiose di accrescere la sfera d’influenza, in attesa del giorno del giudizio. Che verosimilmente non sarà, come da promessa elettorale, quello seguente l’insediamento alla Casa Bianca.
Nella sua monumentale e autocelebrativa biografia, Angela Merkel traccia il profilo di Vladimir Putin con una vivacità insolita nel quadro di uno stile pedante. I due si incontrano varie volte, dapprima in aperta cordialità e poi con l’amarezza di chi avrebbe potuto volersi bene ma non ci è riuscito. Parlano quasi sempre da soli e senza l’ausilio degli interpreti. Vladimir – riconosce Angela – parla un tedesco migliore del mio russo, fermo alla scuola nella Germania Orientale. Dove pure una foto la ritrae mentre riceve il premio per la conoscenza del russo.
Vladimir guarda a Occidente con sentimenti misti. L’Europa è il suo continente, lui che è originario di Leningrado ed ha servito da agente nella Germania Occidentale. Teme l’espansione della NATO a est, la minaccia gli riesce insopportabile, viola il vecchio patto alla caduta dell’URSS, allarga la sfera d’influenza occidentale (americana) fino a lambire la Patria.
Di questo atteggiamento Merkel è così consapevole che blocca l’idea americana di invitare Georgia e Ucraina nella NATO, non può però impedire che i due paesi ex sovietici siano ritenuti potenziali candidati all’adesione. Annota che le manovre in Georgia e in Crimea sono le risposte del Cremlino alla minaccia che Putin ritiene esistenziale. L’invasione dell’Ucraina a febbraio 2022, quando Angela ha appena lasciato la Cancelleria, segna il punto di non ritorno. La Russia ridiventa il nemico storico dell’Occidente, scivola verso l’Asia e segnatamente verso la Cina. Si riavvolge il nastro della diplomazia del “tedesco” Henry Kissinger volta a separare i giganti allora ambedue comunisti.
Toccante è la visita di Angela in Israele. Il suo discorso in tedesco alla Knesset, la gita nel deserto all’ultima residenza di David Ben Gurion, la dichiarazione che la sicurezza di Israele non è negoziabile ed è questione di stato per la Germania. La formula “questione di stato” sarà ripresa dal suo successore alla Cancelleria e determina la strategia tedesca verso Gerusalemme anche in seno all’Unione europea. Qualsiasi iniziativa di Bruxelles per mettere pressione su quel Governo trova la cautela di Berlino.
Merkel stima affidabili e politicamente vicini i dirigenti israeliani di centrosinistra. Shimon Peres naturalmente, Ehud Olmert. Nota le asprezze di Benjamin Netanyahu, la sua determinazione nell’opporsi alla soluzione due popoli – due stati.
Il trambusto che oggi avvolge il Medio Oriente dà corpo alle sue preoccupazioni. La distruzione di Gaza e l’incerto avvenire degli abitanti, lo smembramento di Hezbollah in Libano, la caduta di Bashar al-Assad. Tutto accade ad un ritmo accelerato. Haaretz cita un passo di Ernest Hemingway: il fallimento prima avviene a gradi e poi di colpo.
Il potere alauita di Hafez al-Assad e di Bashar al-Assad è durato decenni, salvo liquefarsi nel giro di giorni. Non che la crisi fosse del tutto inattesa, ma pochi avrebbero scommesso sul suo esito precipitoso e, finora almeno, accomodante.
Da Parigi Trump dichiara che la Siria non è affare americano. Da Gerusalemme Netanyahu ordina alle IDF di schierarsi sul versante siriano del Monte Hermon per proteggere le Alture del Golan. Fu proprio Trump a riconoscerle di sovranità israeliana.