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Analisi del tema.
Il primo numero del 2021 della Gazzetta dello Sport apre con una lunga intervista di Papa Francesco sullo sport; intervista che lo stesso Pontefice ha definito «l’avvio di una enciclica sullo sport»[1]. Non è la prima volta che il Papa, più vicino di ogni altro al mondo dello sport, tocca questo tema, infatti lo aveva già fatto molte volte in precedenza, nel corso del suo Pontificato, poi le sue citazioni legate allo sport sono state raccolte, nell’agosto 2020, in un libricino dal titolo “Mettersi in giuoco”[2].
Sempre il Pontefice ha considerato lo sport e le sue regole come maieutica per la vita. Anche nella lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport il Papa ci offre lo spunto per fermare l’attenzione su sette concetti che egli ritiene essenziali per vivere e comprendere lo sport.
È su questi sette punti che vorrei fermare l’attenzione per cercare di penetrare il messaggio spirituale che il Pontefice consegna al mondo sportivo nella sua interezza (partendo da dirigenti, compresi tra quesiti i giudici sportivi, fino a giungere ai praticanti amatoriali dello sport).
Nell’esaminare i sette punti di riflessione sullo sport, offertici da Papa Francesco, voglio muovere da una Sua affermazione che non può non restare impressa nella mente di ogni sportivo per offrire la più genuina chiave di lettura della essenza dello sport per la maturazione degli individui: «chi vince non sa che cosa si perde», perché solo la sconfitta induce ad approfondite meditazioni ed esami sulle sue cause e solo da essa si pongono le basi per le vittorie future, quelle della piena maturazione. Ecco perché la sconfitta consente all’individuo di scoprire le sue vere potenzialità, senza l’arroganza della vittoria, realizzandolo pienamente. Anche per questo non si deve tentare l’alterazione dei risultati sportivi, facendo ricorso a pratiche o comportamenti illeciti.
Alla luce della affermazione del Pontefice può meglio comprendersi anche il ruolo etico e ripristinatore della regolarità del sistema affidato alla Giustizia Sportiva. Invero, solo attraverso di essa si determina “il nuovo inizio” che riconduce alla legittimità ciò che si era cercato di violare.
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Lealtà.
Passando, dunque, ai sette (numero perfetto per le Sacre Scritture) elementi caratterizzanti lo sport e la crescita della persona, che il Papa offre alla nostra riflessione, per primo viene evidenziato quello della lealtà. Il concetto di lealtà, posto dal CIO e dal CONI alla base della pratica sportiva, sul quale sono plasmati i principi del codice di giustizia sportiva del Comitato Olimpico (art. 2), è visto dal Pontefice come punto basilare incentrato sul “rispetto delle regole”.
In tale ottica il doping, per Papa Francesco, non è solo «un imbroglio, una scorciatoia che annulla la dignità, ma è anche rubare a Dio quella scintilla che, per i suoi disegni misteriosi, ha dato ad alcuni in forma speciale e maggiore». Come il doping qualsiasi comportamento finalizzato ad aggirare e/o forzare le regole, costituisce un illecito che il mondo sportivo deve saper reprimere per ripristinare la regolarità del sistema, nel corretto e leale rispetto delle regole del giuoco.
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Impegno.
Il secondo termine che il Pontefice offre alla nostra meditazione è quello di impegno.
L’impegno nello sport, come nella vita, è ciò che consente alla creatura umana di realizzare se stessa, di seguire la sua virtù e di stimolare la sua conoscenza[3].
Il Papa ricorda che «nello sport non basta avere talento per vincere, occorre custodirlo, plasmarlo, allenarlo, viverlo come l’occasione per inseguire ed il manifestare il meglio di noi». La necessità, dunque, in tutti i campi della vita, di far fruttare il talento che la Divina Provvidenza ci ha fornito e che sarebbe delittuoso seppellire sotto la sabbia[4].
Tanti atleti, non particolarmente dotati, ci hanno insegnato, con la costanza del loro impegno, come ottenere risultati ottimali nello sport come nella vita; mentre, purtroppo, altri, muniti di doti fuori dal comune sul piano sportivo, si sono poi persi perché non hanno saputo, con la dedizione necessaria, impegnarsi per perfezionare (o, comunque, mantenere il loro innato livello).
Una frase cara a mio padre, con la quale ci ha stimolato, quasi quotidianamente, fino al giorno della morte, era «nulla dies sine linea»[5]: nessun giorno senza sacrificarsi a perfezionare il proprio talento. Oggi il Papa, attraverso il tema dello sport, ci invita al medesimo sforzo.
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Sacrificio.
Il termine successivo, suggerito dal Pontefice, quello di sacrificio, si colloca sulla stessa lunghezza d’onda del precedente, l’impegno costituisce sacrificio «prendere ogni giorno la propria croce»[6] e perseguire i valori in cui si crede.
Alcuni atleti sono stati il simbolo del sacrificio e su di esso hanno costruito la loro carriera. Mi piace citare Pietro Mennea, atleta con il quale ho avuto l’onore di misurarmi, che più di ogni altro, ha mostrato che con il sacrificio e la tenacia possono ottenersi risultati e traguardi inimmaginabili, purchè si abbiano forti motivazioni e non si perdano mai di vista gli obiettivi. Ciò, anche quando ci si trova a lottare con un atleta più forte, senza mai abbattersi, ma, giorno dopo giorno, migliorarsi per poterlo finalmente sopravanzare. È anche la grande lezione di Felice Gimondi che, trovandosi a competere con un ciclista definito “il cannibale”, per la sua fame di vittorie, non si è mai arreso facendo, in tal modo, la sua gloria sportiva ed anche quella del suo avversario.
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Inclusione.
Nell’ambito dei sette termini di riferimento offerti dal Papa, per riflettere sul ruolo dello sport, particolare rilievo riveste quello di inclusione. Per illustrarlo il Pontefice richiama il ruolo delle Olimpiadi ricordando il loro «desiderio innato di costruire ponti, invece di muri» auspicando che esse costituiscano «il segno di una partenza nuova e con un cuore nuovo» anche dopo il terribile periodo che stiamo vivendo. Le Olimpiadi come esempio di lotta «al razzismo, all’esclusione, alla diversità». Le Olimpiadi come uno dei simboli più alti dello ecumenismo umano.
Il monito del Papa deve farci meditare sulla necessità, nel nostro Paese, di salvaguardare lo spirito olimpico lasciando al CONI, la centralità dello sport. C’è da augurarsi che, alla luce del pensiero di Papa Francesco, si possano tracciare le corrette linee di confine tra la pratica sportiva di natura agonistica, da lasciare sotto la guida del CONI e ciò che attiene alla prevenzione ed alla educazione, da affidare invece alla società pubblica “Sport e Salute”, individuando linee di confine idonee a valorizzare entrambi gli aspetti dello sport, quello agonistico e quello educativo. Grandissimo, al riguardo, è l’insegnamento di Alex Zanardi che non ha mai smesso di lottare dopo l’incidente che lo ha costretto all’amputazione delle gambe. Con i suoi trionfi negli sport paraolimpici ci ha indicato il modo di non rassegnarci al destino, ma di reagire piegandolo con la forza della volontà.
Alex sta ancora lottando, a noi il compito di tifare, pregando per lui.
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Spirito di gruppo.
Lo spirito di squadra è segnalato dal Pontefice insieme al ricordo che «nessuno si salva da solo», così come nessuno vince da solo e questo anche negli sport individuali. Il Papa ricorda che il ruolo dell’allenatore è fondamentale nello sport, come nella vita, senza punti di riferimento certi ed incrollabili non si ottengono risultati di rilievo[7]. In tale contesto è fondamentale anche la famiglia per ogni atleta così come per ogni donna o uomo comune, senza le radici della famiglia di origine e senza le solide basi di quella che ci si è costruiti non si può affrontare alcun ostacolo, vincere nessuna battaglia; con loro, invece, nessun traguardo è precluso.
La squadra è come una grande orchestra, che, solo suonando la stessa armonia, può realizzare melodiose composizioni ed ottenere i riconoscimenti del pubblico. È, dunque, al gioco di squadra, quella della collettività, al quale, in tempi di pandemia, dobbiamo appoggiarci per poter vincere questa dura battaglia: ci si salva insieme o si soccombe tutti.
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Ascesi.
Il tema dell’ascesi, che il Papa ci offre da meditare, consente di compiere il percorso della ricerca, della concentrazione, della aspirazione alla perfezione, non solo del gesto atletico, ma del comportamento corretto, l’essere contemplativi in mezzo al mondo, imparare ad estraniarsi per poter meglio donare se stessi nello sforzo comune, traendo dalla preghiera la linfa per crescere nello sport come nella vita. È tanto più importante sapersi estraniare dal caos che ci circonda, dalle tante informazioni non elaborate, per potersi concentrare sulla crescita dell’uomo e dello sportivo.
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Riscatto.
Infine, il tema del riscatto. Afferma il Papa, nella sua lunga intervista, la prima che un Pontefice abbia rilasciato ad un quotidiano sportivo, che «dire sport è dire riscatto, possibilità di redenzione per tutti gli uomini». Non basta sognare il successo occorre lavorare sodo per conquistarlo e non spaventarsi di cadere, ma avere la forza per riprendersi e ripartire dopo ogni caduta. Anche le sanzioni disciplinari sono occasioni di riscatto, sapersi riprendere, dopo aver scontato la pena (che ha portato al ripristino dell’ordine leso) è una occasione di recupero dei valori della lealtà e del rispetto delle regole, che rende il successo più pieno e, come ricorda il Santo Padre, anche più commovente.
Anche Paolo Rossi, che recentemente ci ha lasciati, dopo aver scontato una pesante sanzione inflittagli dalla Giustizia Sportiva per un’omessa denuncia di illecito, ha saputo riprendersi, ripartendo da zero, portando la Nazionale di calcio a regalarci nel 1982 il sogno più bello, quello della vittoria di un Mondiale, forse inaspettata, che ha portato l’Italia a gioire in un momento di felicità collettiva.
Quel momento era anche il trionfo del valore etico della Giustizia Sportiva e la prova che con impegno, umiltà, sacrificio può perseguirsi anche il risultato più difficile ed insperato, nel rispetto delle regole, così nello sport, come nella quotidianità.
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Conclusione.
Questo il messaggio del Papa, il quale attraverso lo Sport, ci offre la ricetta per riprenderci dal flagello della pandemia, dalla quale potremo uscire con metodo, spirito di squadra, sacrificio ed umiltà con i diritti del singolo che devono, in questa particolare circostanza, comprimersi a vantaggio della organizzazione collettiva.
Ricorda, infine, il Papa che l’atleta, come l’individuo comune, lascia la traccia del suo passaggio sulla terra se lascia «il mondo un po’ meglio di come lo ha trovato»[8].
[1] Vedi la lunga intervista di Papa Francesco sula Gazzetta dello Sport del 2 gennaio 2021.
[2] Vedi il testo: Mettersi in giuoco, contenente una raccolta di citazioni legate al tema dello sport del Pontefice, scritti raccolti da Lucio Coco, Casa Editrice Vaticana, agosto 2020.
[3] Dante, nel ventiseiesimo Canto dell’inferno, fa dire ad Ulisse “Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza”. Questa stimolante affermazione motivazionale può applicarsi anche alla pratica sportiva che deve portarci a migliorare, con il costante allenamento, le prestazioni sportive al fine di giungere primi al traguardo e conseguire il risultato della piena maturità cui solo lo sforzo e la costante applicazione possono portare.
[4] Vangelo di Marco capitolo VIII, 34.
[5] Frase attribuita dal naturalista Plinio il Vecchio al pittore greco Apelle (nat. Hist. XXXV, 36) il quale non stava neppure un giorno della sua vita senza apportare almeno una linea nuova ai suoi dipinti.
[6] Nel Vangelo di Matteo, al capitolo 25 (14-30) viene riportata la parabola dei talenti mediante la quale Gesù stigmatizza “il servo malvagio e pigro” facendogli comprendere che il disegno di Dio per l’uomo è anche legato alla lotta quotidiana contro la pigrizia ed alla nostra capacità di rischiare nel pieno rispetto delle regole.
[7] Dice il Papa nella sua intervista “senza allenatore non nasce un campione: occorre qualcuno che scommetta su di lui, che ci investa del tempo, che sappia intravedere possibilità che nemmeno lui immaginerebbe, che sia un po’ visionario, oserei dire. Non basta, però, allenare il fisico: occorre sapere parlare al cuore, motivare, correggere senza umiliare. Più l’atleta è geniale più è delicato da trattare: il vero allenatore, il vero educatore è colui che sa parlare al cuore di chi nasce fuoriclasse. Poi nel momento della competizione, saprà farsi da parte: accetterà di dipendere dal suo atleta. Tornerà in caso di sconfitta, per metterci la faccia”. Come non vedere in queste parole Enzo Bearzot (C.T. della Nazionale Campione del mondo del 1982); Carlo Vittori (allenatore di Pietro Mennea); Alberto Castagnetti (allenatore di Federica Pellegrini).
[8] Il passo dell’intervista del Papa è riferito a Gino Bartali, nominato dagli israeliani “giusto tra le Nazioni, per le sue gesta eroiche. Durante l’occupazione nazista Bartali, nell’allenarsi nell’autunno-inverno del 1943-44, tra Firenze ed Assisi, trasportava, nascosti nel telaio della sua bicicletta, molti documenti che hanno salvato la vita a tantissimi ebrei.
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