Per il suo piccolo Theo.
Cari bambini, qualcuno di voi avrà già ascoltato la mia storia di un’oca.
Io non sono il primo che pensa che gli animali possono insegnarci molte cose. Tantissimi grandi scrittori, ci hanno raccontato storie di animali. Gli animali vivono con noi dall’inizio dei tempi, hanno lavorato con noi, con la loro pelle ci siamo vestiti, hanno difeso le nostre case, le nostre pecore e i nostri pollai. Alcuni cani aiutano i ciechi a camminare per le strade, altri salvano le persone che stanno per annegare, o trovano quelle che si sono perdute.
Non è giusto considerarli nostri umili servitori, perché abitano questo bellissimo mondo da tempi lontanissimi, quando noi ancora non c’eravamo. Sono stati, e sempre saranno, i nostri compagni di viaggio.
E neppure ci sono animali buoni e animali cattivi: noi uomini facciamo tutto e ci prendiamo tutto, loro invece continuano a seguire regole antichissime, e le rispettano sempre.
Mi sono spesso chiesto perché Esopo, Fedro e La Fontaine si siano serviti degli animali per darci importantissimi insegnamenti. Erano grandi scrittori, avrebbero potuto fare raffinati discorsi, come i nostri intellettuali. Invece hanno fatto parlare corvi, volpi, lupi e persino rane. Perché? Perché erano grandi comunicatori che sapevano come parlare con tutti, dai bambini ai grandi, dai contadini ai filosofi.
La favola che vi propongo l’ho scritta perché una mia amica mi aveva sfidato a scrivere qualche favola per bambini. Emma, la sua piccola figlia mi ha telefonato dopo averla letta e mi ha detto «grazie Alessandro, ho capito».
La dedico quindi a nonne e nonni del nostro giornale, e a madri e padri, senza la pretesa di insegnare qualcosa, perché quando l’avevo scritta, volevo solo intrattenere qualche bambino.
Cari bambini, non pensate ad una bellissima donna che indossa una corona, magnifici vestiti ricamati e preziosi gioielli. Non è questa la regina di questa fiaba. Lei è una piccolissima regina, a strisce gialle e nere, che vive in un castello fatto di piccolissime casette di cera, e le sue piccole suddite, le api, producono per noi miele e cera, due cose delle quali non potremmo mai fare a meno.
Rul, il grande lupo grigio, da un po’ di tempo si sentiva stanco. Forse era perché non era più tanto giovane, forse era perché aveva deciso di non mangiare più altri animali. Rul, Il grande lupo grigio, era diventato vegetariano. Ma perché? Lui se lo domandava spesso, ma certamente era da quella volta che aveva catturato un piccolo scoiattolo, lo teneva tra le forti zampe e stava per mangiarlo. «Non mangiarmi Rul, non ho paura di morire, ma vedi come sono malato. Non ho quasi più pelo sulla coda e tu mi hai preso così facilmente perché non riesco più ad arrampicarmi sugli alberi. Se mi mangi, avvelenerò anche te». E allora Rul lo aveva preso dolcemente con i suoi forti denti e lo aveva riportato a quel grande buco nell’albero nel quale aveva sempre vissuto.
Ma era vero, da molti anni il bosco non era più quello di prima. Gli uomini venivano quasi tutti i giorni con grandi lame di metallo, e tagliavano i grandi alberi sotto i quali prima crescevano i mirtilli e i funghi. Quei grandi giganti si trasformavano in tronchi senza vita, e il bosco diventava sempre più piccolo.
Sulla strada che andava dal bosco alla città degli uomini si poteva trovare di tutto: strani cerchi rotondi che avevano un cattivo odore, non si potevano mangiare e non scomparivano d’inverno, come le foglie e gli altri frutti del bosco.
Rul si sentiva stanco, ma faceva sempre una passeggiata nel suo bosco, prima di tornare da Dora, la sua adorata compagna e ai due lupacchiotti. Suo nonno Tor e suo padre Lar erano molto orgogliosi di far paura a tutti gli abitanti del bosco e qualche volta, anche agli uomini. I loro occhi gialli risplendevano nella notte, e tutti sapevano che era meglio non trovarseli davanti. Invece Rul non faceva più paura a nessuno e, non solo le volpi, ma anche i conigli, i tassi e tutti gli altri animali del bosco si affacciavano per salutarlo.
Ogni giorno passava sotto il grande alveare, perché sapeva che Kim, la regina delle api, sarebbe volata vicino a lui, si sarebbe posata su un ramo per fare due chiacchiere. Tutti i giorni le api facevano cadere due grandi gocce di miele su una foglia sotto l’alveare: erano per lui, il grande lupo, il vecchio amico di Kim.
Ma quel giorno Kim non si faceva vedere. Rul alzò la testa per guardare l’alveare e si accorse che tutte quelle piccole api, davanti alle loro stanzette, preparavano piccole valigie rosse, e ci mettevano dentro un po’ di miele e un po’ di cera.
«Kim, che succede?», «Andiamo via Rul, non c’è più nulla per noi in questa terra, in questo bosco. Vedi, ci sono troppo pochi fiori, e le mie api non riescono più a fare il miele con il nettare di questi fiori. È diventato un’acqua grigia, senza profumo e senza sapore. E ti sei accorto che anche le farfalle non ci sono più?». «Ma, dove pensate di andare? Siete nate in questo bosco, e questa è l’unica terra che conoscete!». «Io devo difendere le mie api, non posso farle morire di fame!».
Rul abbassò la testa: si poteva vivere senza le api? Come si poteva fare senza quel ronzio, che era il rumore del bosco durante le lunghe estati? Kim non gli avrebbe fatto più trovare due gocce di dolce miele su quella foglia. Ma soprattutto stava per perdere un’amica che gli dava tanti consigli, e qualche volta gli aveva anche raccontato splendide storie.
Era così triste e assorto nei suoi pensieri, che non si accorse dei due uomini che venivano a tagliare gli alberi del bosco. Erano grandi e forti, ma quel giorno uno di loro aveva portato un bambino. Un bambino di cinque o sei anni, che si era seduto su un tronco tagliato e guardava il padre avvicinare all’albero la grande sega.
«Papà guarda, c’è un lupo!», «Non ti preoccupare e molto lontano, e poi è da solo. Non ti farà del male». Il bambino si alzò in piedi e gridò: «che ci fai qui grande lupo grigio? Ti sei forse perso?».
Ho già spiegato, in altre mie fiabe, che soltanto i bambini possono capire gli animali, non parlano la stessa lingua, ma sanno che per capirsi non ci sono soltanto le parole.
«Vedi, il mio bosco diventa sempre più piccolo, molti animali sono morti o se ne sono andati via, e oggi anche le api lasceranno la loro casa in questo bosco. Quand’ero un lupacchiotto sentivo il profumo dei fiori e delle fragole sotto gli alberi, ma oggi non lo sento più». «Ma come, il profumo? I fiori e i frutti del bosco profumavano come le rose che mia madre cura in giardino?» «Sì, proprio come quelle. E nel ruscello si poteva bere e vedere i pesci argentati e le rane verdi che prendevano il sole sulle foglie delle ninfee». «Che cosa è successo? Perché tutto è cambiato?». «Perché gli uomini della vostra città sono venuti qui, hanno tagliato gli alberi e hanno sparso veleni che hanno fatto ammalare gli animali e seccare i fiori».
Il padre abbassò la sega e si avvicinò a suo figlio: «Cosa strilli Martin, è un lupo, non può capire quello che gli stai dicendo!». «Ma che dici papà, non senti che ogni volta mi risponde!». Il padre sorrise, perché gli voleva molto bene: «E allora dimmi: che cosa ti ha detto?». «Mi sta dicendo che noi uomini abbiamo distrutto il bosco, che gli animali si sono ammalati, i fiori sono morti, non ci sono più fragole né mirtilli, i funghi non si possono più mangiare e nel ruscello non nuotano più i pesci argentati».
Come faceva suo figlio Martin a sapere com’era quel bosco trent’anni prima, quando anche lui era un bambino? Come faceva a sapere che con il nonno, riempivano un cestino di fragole e mirtilli, e quanto erano buone le castagne che si raccoglievano ad ottobre? Quel lupo era davvero molto strano, non aveva paura di loro e aveva detto la verità.
Poi volse lo sguardo verso l’alveare: l’ultimo gruppetto di api aveva cominciato a volare, e tutte portavano tra le zampine la loro valigetta rossa. Allora mise una mano sulla spalla del suo compagno e gli indicò le api che andavano via. «Ti ricordi com’era questo bosco quando eravamo bambini?». Un po’ meravigliato lui lo ascoltò, e, tutt’un tratto risentì il profumo dei fiori e delle fragole e il sapore delle more nere e lucide che sua madre raccoglieva nel bosco, graffiandosi le mani con le spine.
I due si guardarono, il padre prese per mano Martin e si avviarono sulla stradina, verso la grande città. Perché il piccolo Martin non avrebbe più potuto camminare nel bosco di quando erano bambini? Era così bello quel bosco! E si ricordarono insieme che anche il nonno di Martin aveva parlato con un grande lupo grigio, e quello aveva scosso la coda e si era allontanato senza far loro alcun male.
Quando stavano per entrare nella grande porta della città, ebbero l’impressione di essere seguiti. Si girarono, e videro il grande lupo grigio che camminava dietro a loro, come un vecchio cane di casa. Ma, incredibile! Dietro di lui c’erano conigli, scoiattoli, uccelli, e persino un gufo, che strizzava gli occhi perché gli dava fastidio il sole.
Tutti gli abitanti della città uscirono sui balconi, altri aprirono le porte di casa e rimasero in piedi davanti alla strada. Tutti volevano vedere quell’incredibile spettacolo: due uomini, un bambino, un lupo e tutti gli animali del bosco: ma perché venivano in città?
La mamma corse incontro a Martin, un po’ preoccupata di vederlo seguito dal grande lupo grigio. «Hai visto mamma, sono venuti tutti con noi, non hanno più il loro bosco: che abbiamo fatto? Papà dice che non era così quando lui era un bambino». E in quel momento, anche Maria sentì di nuovo il profumo dei fiori e delle fragole, e l’acqua fredda del ruscello dove metteva le mani da piccola, cercando di acchiappare piccoli pesci.
Da un balcone, si affacciò un saggio, con i capelli e la barba bianca. «Quand’ero ragazzo non chiamavamo vecchi quelli che avevano i capelli bianchi e le rughe sul viso, ma li chiamavamo saggi, perché non contavano gli anni, ma le cose che avevano imparato. È venuta l’ora di riavere un vero bosco, per portarci i bambini e insegnare loro i nomi degli animali. Loro potranno anche parlarci e raccoglieremo di nuovo le fragole in estate e le castagne a ottobre. E anche questo grande lupo vivrà con noi, in questo meraviglioso mondo che avevamo, e che dobbiamo lasciare ai nostri figli». Proprio in quel momento si sentì un fortissimo ronzio, una bellissima, grande ape volava su quella strada, portandosi dietro tantissime piccole api. Kim pensò che si poteva fare un nuovo patto con tutti quegli uomini, perché avevano cominciato a capire. I bambini avrebbero ricominciato a trovare il suo miele sulle loro tavole.
Foto di apertura di Rain Carnation da Pixabay