L’unione fa la forza? Si, a patto di non nascondere intrinseche debolezze. Ci pare questo il caso dei duetti o trielli proposti dall’industria discografica, frutto più che delle libere scelte degli artisti della volontà commerciale di sbarcare il lunario. Sono ormai definitivamente alle spalle i tempi dei dischi di platino e dei dischi d’oro. Ora le quantità di vinili per raggiungere tali traguardi si sono abbassati di quaranta volte con un considerevole depauperamento di valore. Il fatto è che c’è tanta musica gratuita e il sistema si regge sui concerti dal vivo a prezzi non d’affezione. Se un biglietto per un concerto di Bob Dylan costa 200 euro, io preferisco rimanere a casa pensando che per quella cifra potrei acquisire per Cd la collezione completa dei suoi lavori dal 1962 ai giorni nostri.
Ma torniamo alle strane sinergie per cui possiamo imbatterci in un De Gregori che si esibisce con la Pausini o Ligabue che duetta con un rapper, per non parlare di Mina (aveva proprio bisogno della collaborazione con Blanco?). Motivetti estivi in sinergia costruiti a tavolino con campionatura di suoni (vero Boomdabash?) che durano una stagione come poteva essere per le hit dei Righeira. Dunque un sistema debole che si arrangia come può. Così Fedez vocalizza con J Ax, Elodie si sposa musicalmente con Mengoni, Rovazzi riesce ad unirsi a Orietta Berti. Unioni morganatiche improbabili con Mr Rain congiunto a Sangiovanni, Shiva a Sfera Ebbasta, Gianni Morandi con Jovanotti. Note deperibili che meritano al massimo un ascolto distratto e non certo l’acquisto di un disco o di un Cd. Anche i cantautori over si piegano al sistema e va di moda inserire nei loro testi, certo più impegnati, la voce di un rapper che cambia ritmo, introducendo un curioso effetto di straniamento. Adattarsi o scomparire. Sono tutti figli di un diverso ascolto della musica nato dalle viscere di X Factor, dal nuovo Festival di Sanremo targato Amadeus. Del resto basti leggere gli invitati rituali al concerto del 1° maggio a Roma per riconoscere che nel mondo della musica tutto è cambiato, creando un solco incolmabile e generazionale tra il prima e il dopo.
Le radio commerciali sono tutte per questi facili ascolti in combinato disposto. Si passa dagli Stones ottantenni ai ventenni rampanti di oggi. E non è detto che i primi tirino meno considerando le fortunate tournèe in Italia di gruppi che andavano per la maggiore negli anni ’89 e che ora magari rappresentati da un unico canuto componente vivono sulla scia del successo passato. Si è creato un gap tra i grandi raduni musicali di massa (stadi, Circo Massimo di Roma ecc.) e la difficoltà di suonare e di esibirsi per chi non ha un pubblico vasto. Un po’ la stessa contraddizione della letteratura, tra i garantiti della serie A e i precari che vivacchiano in B o in C senza speranza di uscire da quelle secche. E i solisti vanno incoraggiati perché continuano a rischiare in proprio.
Foto di apertura di Vidar Nordli-Mathisen su Unsplash