Ha fatto molto rumore il rogo di un Corano in una manifestazione pubblica in Svezia. Questo fatto ci impone di interrogarci sulla applicazione dei grandi principi, dei grandi diritti, sanzionati dalle democrazie occidentali. Fra questi diritti la libertà di espressione è sicuramente uno dei più fondamentali. Ma fin dove deve spingersi l’applicazione astratta di un principio?
Molti libri sono stati bruciati nel corso della storia, l’intera biblioteca di Alessandria, quelli bruciati dagli inquisitori durante il lungo Medioevo europeo della caccia alle streghe, e quelli bruciati dai nazisti sulla piazza di Berlino. Se bruciassimo in piazza un romanzo di Tolstoj o di Balzac, manifesteremmo soltanto la nostra ignoranza, ma forse se la prenderebbero solo alcuni intellettuali. Però i libri sono tornati all’onore della cronaca, se molte università americane e inglesi censurano libri come quelli di Jane Austin, Nietzsche o Strindberg, e ci è andato di mezzo anche Shakespeare con il suo “Sogno di una notte di mezza estate”. La letteratura racconta di tutte le vicende degli esseri umani, belle o brutte edificanti o terribili. Nel grande romanzo di Eco, “Il nome della rosa”, il bibliotecario del convento aveva nascosto i libri che facevano ridere, perché ridere, e cioè la critica, potevano indurre a dubitare della fede. Si dimentica che l’insegnamento, soprattutto quello universitario, dovrebbe dotare i giovani di un pensiero critico, che ogni testo ci stimola ad esercitare. Se un racconto o un libro parla del suicidio, potrebbe essere un cattivo suggerimento soltanto per quelle persone che non sapessero trarne un antidoto a questa estrema forma di disperazione. Ci sono però anche libri che fanno parte della cultura di base di popoli e comunità, che orientano la loro vita, e rappresentano i canoni fondamentali delle loro convinzioni religiose, dei loro rapporti col sovrannaturale.
Cosa succederebbe se in una piazza di Salt Lake City venisse bruciato il “Book of Mormons” e cioè la Bibbia dei Mormoni? Abbiamo molti casi di reazioni violente contro manifestazioni e scritti che deridono o disprezzano Maometto e l’Islam. C’è il caso del regista olandese e del suo film anti islamico, c’è il caso di Charlie Hebdo, e ci sono i “Versetti Satanici” di Salman Rushdie.
È chiaro che le azioni violente non sono giustificabili in nessun paese democratico. Ma offendere intere comunità e le loro convinzioni fa veramente parte della libertà di pensiero? Ogni diritto non dovrebbe essere applicato con intelligenza e rispetto delle persone? Molti dimenticano che le tre grandi religioni occidentali, quella ebraica, quella islamica e quella cristiana si riconoscono nella Bibbia, che per tutti questi credenti è il libro dei libri.
Se una ragazza musulmana vuole essere visitata soltanto da una ginecologa donna, si deve costringerla a un dottore uomo perché nei nostri paesi questa sensibilità non esiste, oppure si potrebbe più semplicemente accordarle una ginecologa? Un atto di gentilezza e di comprensione non potrebbe però autorizzare il razzismo in un paziente che non volesse essere curato da un nero. Le mense scolastiche sono state accusate di proporre carne di maiale a bambini musulmani. Dobbiamo utilizzare kasher e halal anche in Europa? Viviamo in un’era difficile, dove la diversità è sempre più presente, non solo nelle piazze francesi, ma anche in Italia dove l’immigrazione è troppo recente per aver creato reali problemi sociali. Il lavoro dei governi è difficile, ma quello che manca è molto spesso la prevenzione, e cioè l’educazione all’applicazione della legge coniugata con il rispetto degli altri.
Il grande filosofo André Glucksman, che ha scritto complicatissimi libri di filosofia morale, stupisce per la sua semplicità negli entretiens disponibili su You Tube. Ci dice semplicemente che i rapporti fra gli esseri umani, fra le comunità, si devono condurre con la parola, e cioè con il dialogo. Nei nostri paesi tutti i bambini femmine e maschi, devono frequentare la scuola e nessuno deve poter sottrarre le bambine a quest’obbligo per nessun motivo, religioso o altro. Ci sono certamente principi inderogabili perché ancorati nei diritti umani e nelle costituzioni, ma ci sono altre regole e consuetudini sulle quali si potrebbe essere più flessibili.
Come in tutti gli ordinamenti giuridici anche il nostro Diritto Civile ospita una serie di norme che servono per permettere l’applicazione di principi e regole di diritti stranieri nel nostro ordinamento (note come “Principi di Diritto Internazionale Privato”). L’unica barriera è rappresentata dall’articolo 16 della l. 218/1995 che prescrive che non si possono applicare in Italia principi stranieri contrari al nostro “ordine pubblico”. Però la saggezza della nostra giurisprudenza ha specificato che solo i principi fondamentali del nostro ordinamento possono impedire l’applicazione di norme straniere.
Così non è possibile riconoscere in Italia la poligamia, perché essa è considerata contraria ai principi fondamentali del nostro ordinamento. Invece molte altre norme straniere, anche se diverse da quelle italiane, si possono applicare, accogliendo positivamente la diversità. Non siamo i primi ad avere adottato questa saggezza: il diritto romano aveva una magistratura speciale, il praetor peregrinus, che giudicava delle controversie tra cittadini romani e stranieri, applicando leggi e consuetudini delle diverse comunità che formavano l’Impero. Anzi questa magistratura ha introdotto quegli istituti giuridici non romani, che ha ritenuto utili per arricchire il sistema romano.
Permettere la convivenza delle diversità è un lavoro difficile che comincia dalla prima infanzia ma al quale si dà poca attenzione, perché gli impegni di lungo termine non portano voti ai politici dei social media che abbiamo.
La saggezza governa da sempre l’applicazione di ogni principio, di ogni legge, e dovrebbe aiutarci a capire che esistono libri e libri e che il rispetto della diversità non viene soltanto dai politici e dai giudici, ma dal dialogo e dalla parola che sono gli strumenti della comprensione fra le diverse comunità e che impediscono la separazione, la discriminazione e la violenza.
Foto di apertura di Afshad Subair da Pixabay