Le classi dirigenti che si sono alternate al potere nelle ultime legislature, da destra a sinistra e viceversa, hanno assicurato la continuità in Italia dell’inesorabile slittamento dal pubblico al privato. Paludando con un indubbio vantaggio per la collettività le trasformazioni e i cedimenti di un servizio che in gran parte dovrebbe essere assicurato dal pagamento della tasse oltre che garantito, statualmente, dalla Costituzione. Le liberalizzazioni di Bersani (le cosiddette lenzuolate) erano passaggi tutto sommato innocenti rispetto alla brusca involuzione odierna. Il caposaldo più decisamente minacciato è quello della sanità, un settore su cui il Governo Meloni continua a infierire e con scarsa coerenza programmatica. Se è notorio il fabbisogno di medici e infermieri si tartassano queste categorie con la pesante minaccia di forte contrazione delle pensioni. Risultato? Di fronte all’allarme, poi solo parzialmente rientrato, i medici anticipano la pensione mentre gli infermieri trovano il rimedio espatriando in Svizzera dove gli stipendi (e, logicamente, anche il tenore di vita) sono considerevolmente più alti. Ma l’incoerenza si vede nei particolari. Di fronte ad un Governo che ha il motto di Dio, patria e famiglia e che incoraggia le nascite, di fronte alla regressione censuaria della popolazione, come si può commentare l’innalzamento dell’Iva per l’acquisto dei pannolini al 22%??


Foto di Darko Stojanovic da Pixabay

Così gli italiani, coartati da tempi di attesa biblici e addirittura nell’impossibilità di prenotare le visite (ci sono 195 casi di contenziosi per questa sporcatura costituzionale) strizzano l’occhio al privato. Fanno anche i conti e scoprono che, a volte, i costi dei ticket per esami di routine quasi pareggiano quelli del privato che, peraltro, assicurano, un riscontro più veloce. Anche la pratica dell’intramoenia, ampiamente diffusa negli ospedali, è una sorta di ponte levatoio tra il pubblico e il privato, un segnale di transizione ben preciso. E che dire dell’istituzione di pronti soccorsi privati? Dunque non sembra più satira ma una tragica eventualità in questo quadro schizofrenico l’allusione satirica di Crozza in una recente puntata del suo programma. “Perché non varare anche una giustizia privata?”. Una battuta che suona quasi macabra e profetica per quello che nell’immediato futuro potrà succedere. E’ dal 1993 che si è messo sul mercato un patrimonio colossale di derivazione pubblica. Sono storia le avventure errabonde di capitani d’industria come Colannino. E’ sotto gli occhi di tutti la deriva di Tim a cui si può solo applicare il noto motto to big for fail, prodromo di una lenta ma inesorabile decadenza. Si è occupata di questo trend una recente pubblicazione di Modiano e Onado intitolata “Illusioni perdute”. I due economisti significativamente scrivono: “Le uniche privatizzazioni industriali di successo sono state quelle in cui lo Stato ha mantenuto poteri di indirizzo”.

Casi rari in circolazione perché il vento spira verso la privatizzazione selvaggia di servizi pure essenziali per la collettività.  Un altro tragico esempio è la deriva della Rai: servizio pubblico omologato (quiz, telenovele, acquisto di format dall’estero) al privato per una battaglia degli ascolti che umilia la qualità.

Foto di apertura di Marek Studzinski su Unsplash